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Antisemitismo

La guerra Israele-Hamas ha riacceso l’antisemitismo negli Usa?

La politica e l'opinione pubblica statunitensi sono dalla parte di Israele, ma dalle università emergono sentimenti antisionisti e antisemiti. Conversazione di Startmag con Andrea Molle, professore di Relazioni internazionali presso la Chapman University in California.

 

La politica e l’opinione pubblica americane sono saldamente dalla parte di Israele, ma negli atenei di quel Paese gli studenti ebrei non si sentono al sicuro. È questo singolare paradosso il tema al centro dell’intervista che Start Magazine ha realizzato con Andrea Molle, professore associato di Scienze politiche e Relazioni internazionali presso la Chapman University di Orange, California.

Che posto ha l’antisionismo nella politica americana?

È un’opinione assolutamente minoritaria che non appartiene alle componenti del cosiddetto mainstream. La ritroviamo invece nelle frange estreme sia del Partito democratico che del Partito repubblicano. Gli esponenti più in vista fra i democratici sono quelle della cosiddette Squad, ossia le tre deputate progressiste Alexandra Ocasio-Cortez, Ilhan Omar e Rashida Tlaib. Dall’altra parte, sul fronte repubblicano, c’è qualche rappresentante del movimento trumpiano del cosiddetto Maga che nutre idee cospirazioniste con una base antisemita.

E leader dichiaratamente antisemiti ce ne sono?

Ancora una volta dobbiamo fare riferimento alle deputate della cosiddetta squad che, in alcune occasioni, hanno fatto riferimento alla presunta doppia lealtà degli ebrei americani per la quale bisognerebbe diffidare di loro. Ma non mancano anche persone che sfruttano lo storico leitmotiv della lobby ebraica. Purtroppo non è l’unico spunto di stampo antisemita che circola a livello bipartisan.

Se la situazione è questa, come si spiega che gli studenti ebrei dei college non si sentano al sicuro? Cosa succede nelle Università?

L’accademia è un microcosmo all’interno del quale sono assenti le varie sfumature di opinione riscontrabili nella società civile. Soprattutto nell’ambito dei Dipartimenti di Scienze umane e sociali la base politica è molto omogenea. Le persone che appartengono a questo mondo tendono ad appiattirsi su posizioni massimaliste che consistono soprattutto nell’ossessione anticolonialista e in quella dell’intersezionalità. Sono tutti schierati con un’opinione antiisraeliana che sconfina spesso nell’antisemitismo.

Questo vale anche per le Università più famose e prestigiose?

In questi Atenei il fenomeno è addirittura ancor più vistoso. In quelli dell’Ivy League, come Harvard, Yale e Berkeley, o in altri molto noti come la NYU, Cornell e la Columbia, sia il corpo docente che gli studenti sono ostili nei confronti di Israele ma anche degli ebrei in quanto percepiti come sionisti. L’ebreo che non rinuncia apertamente al sionismo viene preso di mira da vere e proprie folle che, come abbiamo visto in questo mese, non hanno remora a condurre assalti.

Sono universitari anche alcuni di coloro che hanno strappato i manifestini degli ostaggi.

Sì e non sono solo studenti ma anche docenti, Tra costoro c’è una sorta di impulso a negare quello che è successo o a tentare di contestualizzarlo inscrivendolo nel contesto una guerra che dura da 75 anni, relativizzando così le responsabilità di Hamas.

Sono impressionanti le interviste rilasciate dagli studenti antisionisti in cui dimostrano un’abissale ignoranza della storia del conflitto israelo-palestinese. Anche questo spiega le loro opinioni?

C’è una macroscopica tendenza a semplificare la questione ricorrendo a categorie binarie come oppresso/oppressore e colonizzato/colonizzatore. Ragionando in questo modo si riesce letteralmente a rimuovere ciò che è successo il 7 ottobre, ossia fatti atroci che non rientrano in questi schemi interpretativi. Quel massacro è un grosso buco nella narrazione antisionista e come tale non può essere cognitivamente accettato da chi identifica Israele come carnefice e i palestinesi come vittima. Per questo secondo me, nello strappare i manifestini, queste persone non fanno altro che togliere di mezzo un problema. Al di là dunque dell’ignoranza storica, c’è anche un’ignoranza deliberata di fatti che non si vogliono e non si possono riconoscere.

In Italia intanto 4.000 docenti chiedono con una petizione di interrompere la collaborazione con le università israeliane.

Questo è un fatto sconvolgente, anche per gli argomenti e i toni impiegati che sono davvero vergognosi. Tuttavia occorre una contestualizzazione: i firmatari rappresentano poco più del 5% del corpo docente dell’Università italiana, una minoranza che proviene soprattutto dai Dipartimenti umanistici e delle Scienze sociali, realtà che dunque non hanno alcuna rilevanza sul piano internazionale. Per usare una metafora calcistica, si tratta di studiosi di serie C che però fanno notizia.

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