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Giorgetti

Che cosa unisce davvero gli anti Draghi

Quelle bizzarre convergenze parallele di Giornale e Manifesto su Draghi. i Graffi di Damato.

 

Sono curiose ma non troppo le convergenze parallele di pur controverso conio moroteo fra i commenti di due quotidiani così diversi come il manifesto e il Giornale della famiglia Berlusconi al varo delle ultime, anzi sempre penultime misure adottate dal governo per fronteggiare la pandemia da Covid e varianti.

“A scoppio ritardato”, ha titolato il quotidiano ancora e orgogliosamente comunista prendendosela col presidente del Consiglio evidentemente costretto dalla sua troppo larga ed eterogenea maggioranza di quasi unità nazionale, o addirittura indeciso di suo, ad affrontare con la necessaria tempestività gli sviluppi contagiosi del virus che da due anni ormai ci mette in croce e miete vittime. E chissà se si rivelerà efficace l’obbligo della vaccinazione per gli ultracinquantenni appena deliberato dal governo ad una unanimità a sorpresa dopo ore di contrasti.

“Se Draghi – ha scritto nell’editoriale il direttore del Giornale berlusconiano Augusto Minzolini – non solo ieri (in parte) ma mesi fa avesse imposto l’obbligo vaccinale, mettendo i partiti di fronte alle loro responsabilità, non saremmo in queste condizioni. E non avremmo perso il vantaggio che avevamo rispetto agli altri Paesi europei. Ora si può dire ciò che si vuole, ma sorge spontaneo il dubbio che il premier non abbia usato tutto il potere che aveva a disposizione per non inimicarsi pezzi di maggioranza che potrebbero tornargli utili per il Colle”. L’allusione naturalmente è ai leghisti, formalmente impegnati come i fratelli politici di Giorgia Meloni a sostenere la candidatura al Quirinale di Silvio Berlusconi , ma sotto sotto tentati dall’aiutare Draghi a scalare il Quirinale.

“Stesso discorso si potrebbe fare sull’economia, sull’energia e su quant’altro”, ha aggiunto con severità Minzolini spiegando: “Se il premier si fosse concentrato e avesse giocato tutto sul suo ruolo attuale (come si era comportato nella prima fase del suo governo) e avesse dichiarato pubblicamente di non essere interessato al Quirinale”, anziché definirsi un nonno a disposizione delle istituzioni, “il suo governo avrebbe potuto tutto o comunque molto di più. E invece…”. “Più che una critica, è la speranza che torni ad essere un gigante”, ha concluso Minzolini risparmiandoci una spiegazione vera su quel “tutto” o “molto di più” che bisognava aspettarsi da Draghi su “economia, energia e quant’altro”. Lo farà evidentemente un’altra volta se il presidente del Consiglio, da qui al 24 gennaio, quando si comincerà a votare nell’aula di Montecitorio per la successione a Mattarella, non si sarà tirato fuori dalla corsa al Quirinale gridando la sua indisponibilità come il presidente uscente fa e fa dire dai suoi collaboratori a quanti insistono nel chiedergli un bis.

Ciò che separa le convergenze parallele fra il manifesto e il Giornale e ripristina le divergenze è il futuro di Draghi. Che per il quotidiano comunista, in sintonia con la sortita ancora fresca di stampa di Massimo D’Alema contro il presidente del Consiglio, dovrebbe essere il ritorno a casa per liberare i partiti dal commissariamento in corso dall’omicidio – secondo Marco Travaglio – o dal suicidio, più probabile, di Giuseppe Conte. Per il Giornale della famiglia Berlusconi il futuro di Draghi dovrebbe invece essere ancora a Palazzo Chigi, senza interruzioni di sorta, perché il professore sarebbe. o continuerebbe ad essere, per un Berlusconi fortunosamente al Quirinale il migliore presidente del Consiglio possibile e immaginabile. Ma il problema, grosso come un grattacielo, è come fare arrivare davvero Berlusconi sul Colle da inquilino, e non da invitato a qualche cerimonia, o da presidente a vita della sua Forza Italia nelle consultazioni più o meno di rito per la crisi governativa di turno.

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