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Perché Giorgetti non scalerà la Lega di Salvini

Che cosa succede davvero nella Lega di Salvini. La nota di Paola Sacchi

 

Che Giancarlo Giorgetti, cresciuto alla scuola di Umberto Bossi, lo stesso Giorgetti che tanti anni fa usava il termine “militante ignoto” per definire l’identikit del leghista modello, non volesse dare la scalata al partito era cosa facilmente immaginabile per chi sa un po’ di Lega di ieri e di oggi.

Ma, dopo che al Consiglio Federale il ministro dello Sviluppo Economico ha rinnovato insieme con tutti gli altri, all’unanimità, la fiducia a Matteo Salvini e si è scusato per l’intervista a Bruno Vespa, per certi paragoni cinematografici, e, pur confermando la sua posizione sul Ppe, ha ribadito che “la Lega è una sola”, la sinistra, che lo aveva tanto elogiato, in chiave anti-Salvini, resta delusa. Enrico Letta, segretario del Pd, proprio mentre è alle prese con una situazione interna non facilissima, dopo la bocciatura del ddl Zan, commenta: “Tra il sovranista Salvini e il governista Giorgetti è sempre il solito gioco delle parti”.

Ora, è vero che la Lega è maestra in questa arte, basta ricordare Bossi e Roberto Maroni che, pur scontrandosi realmente (vinceva sempre il Senatùr, il fondatore), spesso però hanno anche fatto anche impazzire i cronisti e spiazzato una sinistra con l’eterna voglia di fare della Lega “una costola della sinistra”. Ma la Lega, nonostante certe pressioni di sottofondo dall’esterno, di “leninista” ha sempre avuto solo lo schema, il modello organizzativo, senza correnti, il principio che il segretario federale alla fine decide, “dopo aver ascoltato tutti” (Salvini, ndr). Certamente, sia la Lega Nord sia la Lega nazionale di “Salvini premier”, con cifre un tempo inimmaginabili, non è mai stata “leninista” nei contenuti. Da sempre partito per la crescita e lo sviluppo economico, anti-tasse e per il contrasto dell’immigrazione clandestina. Con una linea che, non a caso, l’ha vista come leale alleato per anni nei governi di Silvio Berlusconi. A parte la parentesi del ’94.

Un movimento-partito molto trasversale, come si è confermato oggi su scala nazionale con la Lega di Salvini, che va dai piccoli imprenditori, le partite Iva, dagli strati popolari a fasce di borghesia imprenditoriale e di professionisti. Una volta, quando era una forza territoriale del Nord, la si definiva sindacato del territorio. Il bocconiano Giorgetti, figlio di pescatori di Cazzago Brabbia (Varese), con rapporti nel mondo dell’economia e della finanza, ritenuto da Bossi “un bravo ragazzo, un amministratore di grandi capacità”, è cresciuto in questa Lega, così come il leader Salvini. Ognuno con la sua storia e personalità.

Comunque, pur nelle nette differenze per le quali Salvini è un leader e Giorgetti, come lui stesso ha sempre riconosciuto senza dolersene affatto, invece no, politici cresciuti sul territorio. Così come governatori come Luca Zaia. E anche economisti come Claudio Borghi, voluti da Salvini nella sua nuova Lega, che passano i fine settimana ai banchetti con i militanti. Come è accaduto l’estate scorsa nella raccolta delle firme per i referendum sulla giustizia. Territorio e militanza. Ognuno con le proprie sensibilità, posizioni, ma, come il Consiglio Federale ha confermato, uniti nell’approvare la linea del segretario. Che sottolinea: “La Lega ha dimostrato la sua compattezza, il confronto va bene, le polemiche no”.

Questo non significa che problemi non restino. Ma sono politici, oggettivi, a cominciare dalla stessa collocazione della Lega al governo e la concorrenza, pur legittima, di FdI di Giorgia Meloni rimasta all’opposizione. Ma Salvini, convintosi di questa scelta da solo poiché non è tipo (“Un osso duro”, lo ha definito Roberto Castelli) da farsi convincere da altri pur influenti esponenti come Giorgetti, a dispetto di certa vulgata mediatica, ha deciso di fare una scommessa difficile. Ha lanciato una sfida al suo partito per costruirne un profilo all’altezza delle grandi sfide italiane e internazionali.

Da qui l’ingresso in quello che non è un esecutivo di unità ma “di emergenza nazionale” per far fronte alla pandemia. Con questo nome fu, non a caso, battezzato l’esecutivo di Mario Draghi, al quale “il Presidente Sergio Mattarella ha chiamato tutti a dare un contributo”, ha ricordato il leader leghista. Per poi alle Politiche tornare alla competizione con la sinistra per l’affermazione di “un centrodestra conservatore e liberale”. Il problema di questa sfida riguarda tutto il centrodestra che, dopo errori e difficoltà alle Amministrative, dovrà trovare la quadra anche con la rimessa a punto dell’offerta elettorale come coalizione.

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