skip to Main Content

Germania

Vi racconto timori e polemiche in Germania su Covid, vaccini e restrizioni

Cosa succede in Germania con la quarta ondata di contagi da Coronavirus. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Il modo in cui la Germania è cascata nella quarta ondata pandemica ricorda una tradizione americana resa famosa in tutto il mondo dal film Ricomincio da capo (Groundhog Day) del 1993: il giorno della marmotta. L’espressione è entrata nel linguaggio comune a indicare la sensazione che una situazione non evolva e rimanga la stessa ogni giorno. È quanto sta accadendo da un paio di settimane, in coincidenza con l’arrivo della stagione autunnale.

Il film sembra tale e quale, se non addirittura peggiore, a quello osservato dodici mesi fa, quando la signora Merkel ancora saldamente in sella al governo decise di adottare una strategia light di fronte al ritorno autunnale dei contagi. Allora non c’erano i vaccini, ma un sistema economico da salvaguardare dopo il crollo del Pil della prima ondata. Andò malissimo: la Germania contò i ricoveri e i morti che non aveva avuto nella primavera precedente e il governo fu costretto ad adottare misure più restrittive a dicembre, compromettendo il business natalizio di ristoratori e commercianti.

A leggere gli ultimi dati forniti dal Koch Institut (venerdì 5 novembre) sembra davvero di essere tornati al punto di partenza, nonostante i vaccini: 37.120 contagi in un giorno, nuovo record, 154 morti (per un totale di 96.346 dall’inizio della pandemia), incidenza dei sette giorni a 170. Il giorno prima era a 154, una settimana fa a 139. L’unica differenza con lo scorso anno è data dall’incidenza di ospedalizzazione, 3,73, segno che i vaccini il loro lavoro lo stanno facendo, rendendo ancora distante la soglia di collasso degli ospedali. Lo scorso inverno aveva toccato 15,5.

A ogni ondata, il carosello politico-mediatico forgia nuove parole d’ordine che vengono ripetute come un mantra. Da qualche tempo è in vigore quella della “pandemia dei non vaccinati”. L’aveva tirata fuori il capo del Koch Institut, poi l’aveva fatta sua Angela Merkel, infine l’ha ribadita in più occasioni il ministro della Sanità Jens Spahn. Sono i tre vertici della task force che dall’inizio gestisce la crisi del Covid, ma la loro capacità di incidere sugli eventi si è affievolita: il primo appare sempre più stanco, la seconda è più impegnata nei tour di addio in giro per l’Europa, il terzo è preso dalla competizione nella Cdu per la successione ad Armin Laschet. Così il governo in carica per l’ordinaria amministrazione non ha avuto la forza di imporre il green pass sul posto di lavoro, mentre misure simili sono in vigore in settori come la ristorazione o nei musei. Un segno di incertezza che ha dato fiato ai no vax e ha rafforzato nell’opionione pubblica la convinzione che ormai ci fosse poco da temere.

Anche la comunicazione di Spahn di non voler prorogare lo stato di emergenza sanitario oltre la scadenza di novembre ha suggerito l’idea di un rompete le righe, così come l’allentamento di misure di sicurezza nelle scuole (via le mascherine) attuato in molti Länder. Decisioni che adesso contrastano con annunci draconiani come i lockdown per i non vaccinati, prospettati dalla cancelliera.

Nel giro di pochi giorni la politica tedesca ha riscoperto i toni allarmanti. Il presidente della Sassonia, una delle regioni a più basso tasso di vaccinati e con un’incidenza di nuovi contagi schizzata a 385, ha parlato di “situazione drammatica”: dobbiamo intervenire subito, altrimenti saremo costretti a nuovi lockdown. Il portavoce di Merkel si è detto “molto preoccupato” di fronte all’evoluzione della quarta ondata, specie per gli allrmi che arrivano dagli ospedali, “da prendere molto sul serio”.

Ma ora le parole lasciano il tempo che trovano e il passaggio di consegne tra i due governi (uno in scadenza e sfiatato, l’altro ancora in formazione) rischia di peggiorare le cose. I leader della futura coalizione hanno già detto che metteranno in pratica l’annuncio di Spahn di non prorogare lo stato di emergenza e che lo sostituiranno con una legge che colmerà il rischio di vuoto legislativo e permetterà alle regioni di continuare ad adottare misure restrittive se necessarie come obbligo di mascherine, ingressi ristretti per ristoranti ed eventi, misure di igiene. Ma non lockdown e chiusure di scuole, ristoranti o luoghi culturali, né coprifuoco di alcun genere.

La Germania sconta una campagna di vaccinazione finita in stallo, con tassi di doppia dose che non raggiungono il 70%, un consistente zoccolo duro di no vax e una fascia di immigrazione diffidente e difficile da raggiungere. Anche il richiamo della terza dose procede con affanno, tra le prudenze della commissione sui vaccini che rallenta la campagna affidata ai medici di base. Si pensa alla riapertura dei centri di vaccinazione, ma autorità ed esperti litigano pure su quello.

Non manca poi il contorno dell’illegalità e dell’incoscienza. Prolifera la scoperta di certificati vaccinali falsi, cui si tenta di porre rimedio (anche qui in ritardo) con un adeguamento delle sanzioni, mentre tornano i focolai mortali nelle case di riposo per anziani: gli ultimi due casi riconducibili a personale che non si era vaccinato. Secondo un sondaggio tre quarti dei tedeschi è ora a favore dell’obbligo vaccinale per questo tipo di lavori.

Rimane lo sconsolato rimprovero di Christian Drosten ai politici, il virologo della Charité premiato per la sua capacità di divulgazione durante la prima ondata e poi finito un po’ in disparte anche per sfuggire alle crescenti minacce di morte anonime: nessuno può dire che questa situazione era imprevista, ha detto alla Zeit, “avete voluto escludere l’obbligo di vaccinazione, così come nuove restrizioni per i vaccinati. Ora non resta che la scelta tra un ulteriore aumento dei morti o rimangiarsi le promesse”.

Back To Top