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Copertina Spiegel Merkel

Che cosa pensano in Germania aziende, economisti e manager dell’accordo Merkel-Seehofer

 L’approfondimento da Berlino di Pierluigi Mennitti    L’accordo in extremis fra Angela Merkel e il suo ministro dell’Interno Horst Seehofer sui migranti salva per ora il governo ma non tranquillizza affatto il mondo economico tedesco. Imprenditori, manager, investitori in borsa ribadiscono le inquetudini sulla stabilità dell’esecutivo e sull’immagine di debolezza che esso proietta in Europa…

 

L’accordo in extremis fra Angela Merkel e il suo ministro dell’Interno Horst Seehofer sui migranti salva per ora il governo ma non tranquillizza affatto il mondo economico tedesco. Imprenditori, manager, investitori in borsa ribadiscono le inquetudini sulla stabilità dell’esecutivo e sull’immagine di debolezza che esso proietta in Europa e sulla scena internazionale, proprio nel momento in cui Donald Trump, che ha già messo nel mirino dei dazi le auto tedesche, rilancia la sfida alla Germania, accusandola di targiversare sulla promessa di aumentare le spese militari per la Nato.

Merkel ricusa la stagione delle porte aperte ai migranti senza neppure compiere uno straccio di autocritica, ribadendo quale sia la vera essenza del merkelismo: tutto per il mantenimento del potere. Poco interessa adesso agli operatori economici che questo scopo supremo, per lungo tempo, abbia coinciso con una politica che ha garantito il più lungo boom economico dai tempi della ricostruzione post-bellica e il più alto tasso di occupazione dalla riunificazione tedesca.

“Il governo è divenuto un fattore di insicurezza per l’Europa“, titola a piena pagina il quotidiano finanziario Handelsblatt, “e anche i mercati osservano gli sviluppi con grande preoccupazione” Stefan Hofrichter, capo economista di Allianz Global Investor, aggiunge che “a lungo termine la crisi della grosse Koalition consolida l’impressione che le forze populiste guadagneranno significato e il governo diventerà difficile, soprattutto in e per l’Europa, mentre ancora oggi si tende a sottovalutare i rischi politici e non solo in relazione allo stato del governo tedesco”.

Di fronte a una Berlino che perde il suo ruolo di centro stabile dell’intera eurozona non è emerso alcun altro paese in grado di sostituirla. Lo testimonia un altro resoconto pubblicato sempre sull’Handelsblatt che ripercorre il difficile lunedì dell’euro, calato in meno di 24 ore dall’1,17 all’1,16 rispetto al dollaro, in simultanea con l’evolversi l’altroieri della crisi berlinese. Gli economisti tedeschi sono convinti che senza una Germania forte le riforme europee in campo economico e finanziario non potranno essere completate. “Senza Berlino non sono immaginabili riforme che possano dare fondamenta solide alla costruzione della moneta unica ed eliminarne le debolezze strutturali”, osserva Esther Reichelt, esperta monetaria di Commerzbank. E Holger Schmieding, capo economista di Berenberg, scrive in un rapporto appena sfornato: “È vero che la diretta influenza economica della crisi politica tedesca dovrebbe rimanere contenuta, perché è immaginabile che un eventuale nuovo governo mantenga posizioni pro-europee, ma l’indebolimento interno ed esterno della leadership di Angela Merkel rende le riforme dell’Ue e dell’Eurozona ancora più complicate”.

Le principali associazioni imprenditoriali (Bdi, Bda, Dihk, Zdh) avevano già lanciato l’allarme nei giorni scorsi, al primo riaccendersi del conflitto fra i due partiti cristiano-democratici, Cdu e Csu, con un insolito appello firmato dai loro presidenti nel quale si stigmatizzava lo scontro fra i partiti “che danneggia l’immagine della Germania sul piano europeo e internazionale in un momento di gravi sfide economiche”. Gli imprenditori sforavano anche sul terreno politico, suggerendo ai partiti di fare prevalere “soluzioni europee e non nazionali” sul tema dei migranti, giacché queste ultime “potrebbero portare più danni che svantaggi”.

Non è un caso che, all’indomani dell’accordo raggiunto che di fatto dà via libera al dispiegarsi di soluzioni nazionali, l’Handelsblatt (che del mondo imprenditoriale è una sorta di portavoce) affibi l’aggettivo di “disastroso” al Masterplan sull’immigrazione elaborato da Seehofer. E nel giorno in cui l’euro barcollava di fronte al dollaro, il Dax tedesco festeggiava i 30 anni dalla sua nascita con un calo di poco più di mezzo punto, recuperando solo nel finale di giornata un avvio di seduta in forte ribasso. Il proseguimento dell’incertezza potrebbe alla lunga danneggiare i titoli di Stato tedeschi che hanno beneficiato della fuga verso un porto finora ritenuto sicuro, ha scritto la Börsen-Zeitung. Mentre l’editorialista del magazine economico Bilanz, Daniel Saurenz, attacca direttamente Seehofer definendolo “il seppellitore del boom economico” per le sue iniziative unilaterali che assieme a quelle di Trump nel commercio “arrivano al momento sbagliato, giacchè si sono già manifestati i primi segnali di un raffreddamento della congiuntura economica”.

La crisi sui profughi ha solo reso più plastica l’immagine di debolezza del quarto governo Merkel. Il settimanale Wirtschafts Woche mette nel mirino direttamente la cancelliera, allargando lo sguardo agli infruttuosi vertici delle settimane precedenti, da Washington a Pechino, dal G7 in Canada a Bruxelles: “È sfinita come non mai, le crisi in Germania, in Europa e nel mondo richiedono un capo di governo energico mentre i suoi tentennamenti e le sue esitazioni hanno già causato immensi danni all’economia tedesca. Mantiene la sua presa al potere ma l’economia tedesca paga per questo un prezzo alto”. Una critica profonda, forse anche ingenerosa ma che si pone in linea con quelle avanzate dagli imprenditori in un sondaggio reso noto due settimane fa dall’associazione delle imprese familiari (la spina dorsale della piccola e media impresa tedesca e tradizionale serbatorio elettorale della Cdu di Merkel), al compimento dei primi cento giorni della Grosse Koalition: il 93% degli interpellati bocciava il governo, accusandolo di non aver ancora definito alcun orientamento per il futuro. “Rottura, dinamismo, coesione, nulla di quanto promesso nel contratto di governo è al momento percepibile”, ha sentenziato il capo dell’associazione Reinhold von Eben-Worlée.

Altri lamenti ancora dalla Wirtschafts Woche: “Trump forza sulla guerra commerciale, i cinesi privilegiano solo se stessi e l’Europa non vuole saperne della solidarietà: mai come ora il modello economico tedesco basato sulle esportazioni è stato così sotto pressione”. L’accenno da parte di un giornale tedesco all’Europa non solidale potrebbe far sorridere (e a qualche greco suscitare reazioni ancor meno benevole), fatto sta che l’umore nero dei media sembra diffondersi senza più freni, come dimostra la copertina dell’ultimo numero dello Spiegel, dedicata questa volta ai guai di casa: “C’era una volta un paese forte”, strilla il titolo sullo sfondo di una bandiera tedesca i cui colori si sciolgono e confondono, “lo stato attuale della Germania è tutto tranne che buono, fuori dal Mondiale di calcio, governo litigioso e il buon nome dell’economia tedesca colpito dopo l’arresto del capo di Audi”.

Ma forse ci sono un po’ troppi ingredienti incompatibili nella minestra di pessimismo che lo Spiegel, da qualche anno più portato a scandalizzare che a spiegare, offre ai suoi lettori. “Non mescoliamo le cose”, commenta questa mattina Thomas Straubhaar sulla Welt, “costruire un collegamento fra l’uscita della squadra tedesca dai Mondiali di calcio e la situazione economica è scorretto e fatale, fabbrica un’atmosfera negativa che rischia di diventare davvero un problema”. Intanto, a due giorni dall’accordo fra Merkel e Seehofer, il governo non è ancora ufficialmente puntellato, perché i socialdemocratici devono trovare il modo di far digerire ai propri elettori i centri profughi che Seehofer vuol creare alla frontiera. E ci sono le reazioni dell’Austria e ci saranno quelle dell’Italia. E l’economia tedesca dovrà forse rassegnarsi ad avere come contraltare un esecutivo stabile e affidabile: almeno finché non si formeranno nuovi equilibri politici.

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