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Yellen riuscirà a salvare il commercio Usa-Cina?

Le restrizioni cinesi all'export di gallio e germanio non sono l'inizio di una vasta guerra commerciale, ma il sentiero imboccato non è rassicurante. L'analisi di Sergio Giraldo.

 

Non siamo ancora alla guerra commerciale, ma certo il sentiero imboccato non è rassicurante. Dopo la riduzione dell’esportazione di microchip verso la Cina decisa dall’Olanda nei giorni scorsi, la Repubblica popolare ha deciso di attuare nei confronti dell’Occidente una ritorsione simile nelle modalità ma forse più dannosa negli esiti. Pechino ha infatti annunciato l’avvio dal 1 agosto prossimo di una nuova procedura di controllo sulla destinazione dell’export di gallio e germanio. Questi due metalli vengono utilizzati in circuiti integrati, diodi laser e LED, applicazioni ottiche (visori notturni, fibre ottiche), catalizzatori, insomma sono preziosi per le caratteristiche che ne permettono l’uso (anche militare). Si tratta, cioè, di elementi che servono alla tecnologia che ormai presidia la nostra vita, alla transizione verde ma anche all’industria degli armamenti.

IL DOMINIO DELLA CINA SU GALLIO E GERMANIO

La leva che il governo cinese può praticare sulle necessità occidentali di questi due metalli, ad oggi, è forte. La Cina produce il 98% del gallio mondiale, mentre si calcola che, al momento, le scorte dei due materiali possano durare al massimo per sei mesi. Per il gallio gli USA dipendono al 100% dall’estero, per il germanio la dipendenza USA è del 53%. È importante distinguere tra risorse dei due metalli, che esistono ovunque vi siano bauxite e zinco, e capacità industriale di raffinazione, che riguarda invece il possesso degli stabilimenti e la padronanza dei processi per ottenere i due metalli raffinati. La leva cinese su gallio e germanio oggi è costituita dalla capacità industriale di processare i minerali grezzi, non dalla disponibilità della materia prima in sé. Dunque, in astratto l’Occidente potrebbe costruirsi una alternativa avviando la propria produzione, e forse così sarà, nel medio periodo, per aggirare l’ostacolo. Il problema a quel punto diventerà il costo, che inevitabilmente salirà, tenuto conto anche del forte impatto ambientale di queste lavorazioni.

L’IMPATTO DELLA MOSSA CINESE SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA

La reazione dell’Unione europea alla mossa cinese è sinora abbastanza scolastica: pare infatti che Bruxelles stia valutando se inoltrare un ricorso al WTO. Difficile persino definirla una reazione.

L’ipoteca posta dalla Cina sulla trasformazione verde europea e americana dunque è pesante, anche perché una tale dinamica di azione e reazione (tit-for-tat) può portare rapidamente ad una escalation verso una guerra commerciale che potrebbe allargarsi a molti altri settori. Ciò farebbe precipitare quel decoupling che, dopo essere stato indicato come una soluzione ai sussulti geopolitici, ora preoccupa assai Washington e Bruxelles, che hanno lanciato il cuore oltre l’ostacolo della decarbonizzazione ad ogni costo. Il colpo di avvertimento rappresentato dal freno all’export di gallio e germanio, elementi importanti sì, ma meno di altri, può preludere a un freno cinese sulle esportazioni di altri materiali. Ad esempio, la grafite, che la Cina estrae per il 61% del mercato e raffina per il 98%. Questo sarebbe catastrofico per le ambizioni occidentali sull’auto elettrica, visto che la grafite è fondamentale per le batterie degli autoveicoli elettrici (da 50 a 100 kg per ogni singola auto).

L’Unione europea, con il suo Critical Raw Materials Act ancora in discussione, non fa che prendere atto di una dipendenza dalla Cina che resterà strutturale, dimenticando che solo con corposi investimenti in ricerca potrà (forse) uscire dal cul-de-sac in cui si è infilata.

LA MOSSA DI BIDEN SUL CLOUD

Gli Stati Uniti invece si muovono su più fronti. L’amministrazione americana guidata da Joe Biden starebbe preparando norme per limitare l’accesso delle aziende cinesi ai servizi di cloud computing statunitensi. In pratica, questo significa che i giganti del cloud, come Amazon, Microsoft ed altri, dovranno chiedere il permesso del governo americano prima di fornire i loro servizi a compagnie cinesi. Questa mossa americana chiuderebbe una falla nel sistema di controllo delle esportazioni di chip verso la Cina, già in vigore. Con i servizi cloud, infatti, i clienti cinesi possono accedere a grandi capacità di calcolo, come quelle utili per gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, senza necessità di acquistare i chip americani. Proprio i rapidi progressi cinesi nel campo dell’intelligenza artificiale preoccupano la Casa Bianca, che sta cercando di limitare l’accesso a prodotti e servizi americani da parte di aziende cinesi.

IL VIAGGIO DI YELLEN IN CINA

Il viaggio del Segretario al tesoro americano, Janet Yellen, andata a Pechino di recente per una serie di incontri lungo quattro giornate, va inquadrato dunque in un tentativo di stemperare le tensioni tra i due Paesi. Ma non solo: in gioco c’è l’equilibrio dell’ordine economico globale, oggi traballante per una corposa serie di motivi, dalla guerra in Ucraina alla transizione verde. Interesse e sicurezza nazionali da una parte e rapporti commerciali e reciproci investimenti dall’altra si fronteggiano. Nel 2022 l’interscambio commerciale tra USA e Cina è stato di 690 miliardi di dollari, un record che probabilmente rimarrà imbattuto a lungo, visto il progressivo raffreddamento dei rapporti. Dopo la visita del segretario di Stato Antony Blinken a Pechino del mese scorso, ora tocca a Yellen provare a fermare l’escalation o, quantomeno, a rallentarla.

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