Concorrenza, integrazione economica, strategia unitaria ed economie di scala. Sono questi i temi intorno ai quali l’ex premier Mario Draghi ha costruito il suo discorso che anticipa la relazione preparata per la Presidente della Commissione. È un cambiamento radicale quello che propone Draghi, un cambiamento che guarda allo spazio economico europeo come a una sola economia e non a 27 economie in concorrenza tra loro.
IL NODO RISORSE NEL PROGRAMMA DI DRAGHI
“I cambiamenti spaziano dalla concorrenza e Mercato Unico al commercio internazionale, fino alla politica estera. L’ambizione certamente è grande – scrive Antonio Villafranca dell’ISPI -. Ma lo sono anche i vincoli. La volontà politica per attuare i cambiamenti dipende dall’esito delle elezioni europee, mentre sul piano economico va sciolto il nodo delle risorse (pubbliche e private) necessarie per trasformare l’ambizione in azioni concrete”.
L’UE HA SEGUITO IN MODO “OTTUSO E OSTINATO” LE INESISTENTI CONDIZIONI PERFETTE DELLA CONCORRENZA
I cambiamenti di cui ha parlato Draghi derivano, anche, dalla stasi organizzativa degli ultimi quindi anni nei quali “ha continuato a perseguire in modo ottuso e ostinato le condizioni “perfette” della concorrenza al proprio interno come se l’Europa potesse essere immune rispetto alle dinamiche che da più di due decenni anni caratterizzano l’andamento dei mercati su scala globale”, scrive Marco Mayer su Startmag. La nostra Ue “non è un attore politico di rilevanza globale e sappiamo che – in assenza di stimoli politici – qualunque tecno-burocrazia tende a ripetere in modo automatico le proprie pratiche abituali ignorando completamente ciò che succede all’esterno dei propri confini di competenza amministrativa”.
MARIO DRAGHI: IL NOME PIÙ AUTOREVOLE SUL TAVOLO
Il nome di Mario Draghi non è mai uscito dai radar per un incarico di prestigio in Europa, a partire dalla presidenza della Commissione europea. Il suo atteso discorso programmatico solo riacceso la luce sull’ex presidente della BCE. “Discutere di nomi con troppo anticipo rischia di danneggiare il candidato che si vorrebbe invece sostenere”, fa notare Stefano Folli su Repubblica. Quello di Draghi è “il nome più autorevole sul tavolo” ma ha un problema: Draghi è un tecnico, anzi un “super tecnico” che “non appartiene a una delle principali “famiglie politiche” d’Europa”. Nel nostro paese “Draghi raccoglie il consenso esplicito di Azione (Calenda) e Italia Viva (Renzi)”, il Pd di Schlein “guarda a un nome del Pse” mentre il centro destra non si è ancora espresso con chiarezza. “Il ricorso ai tecnici, a imitazione del modello italiano, non appartiene al costume di Bruxelles e Strasburgo – continua Folli -. Ma può esserci senz’altro una prima volta, specie se il risultato del voto non fosse così netto. Nell’attesa, come abbiamo visto, Draghi ha dato il massimo risalto al suo rapporto sulla competitività. A sua volta Enrico Letta presenta il suo lavoro sul mercato unico”. Entrambi erano stati chiamati da Ursula von der Leyen ma da allora “molte cose sono cambiate”.
MARIO DRAGHI: IL DEMIURGO CHE AFFRONTA LE CRISI
Mario Draghi, nelle parole di Giuliano Cazzola che analizza il suo discorso per Startmag, è “il demiurgo che affronta le crisi: quella dell’euro, della pandemia, della ripartenza col passo giusto, del superamento delle forniture energetiche che creano anche dipendenza politica, senza subire crolli nel fabbisogno del sistema produttivo, del sostegno alle famiglie e alle imprese. Ci aspettiamo da lui un Whatever it takes anche per la difesa della libertà”. L’attribuzione dell’incarico di presidente della Commissione a Mario Draghi sarebbe una buona notizia anche per il nostro paese. “Per una volta c’è un nome né di destra né di sinistra, e universalmente accreditato come persona di valore. Draghi è il nostro Maradona dell’economia e non solo, semplicemente un grande, a prescindere dalla maglietta – del Napoli o della Nazionale argentina nell’altrui caso – che indossi – ha scritto l’editorialista Federico Guiglia -. Lasciare Maradona in panchina per un miope calcolo politico, cioè per fare un dispetto a Giorgia Meloni, una ripicca a Elly Schlein, uno sgarbo a Matteo Renzi, insomma una provocazione a questo o a quel leader dell’intera galassia politica italiana, sarebbe folle e masochista”.
LA DIFFERENZA TRA I DISCORSI DI ENRICO LETTA E MARIO DRAGHI
Troppo ravvicinati e troppo contigui i discorsi di Mario Draghi e Enrico Letta per non suscitare un confronto tra i due. Secondo Stefano Feltri (qui il pensiero del direttore di Appunti raccolto da Ruggero Po per Startmag) i “rapporti di Mario Draghi ed Enrico Letta si contrappongono due idee di Europa che, per semplificare, potremmo chiamare un’idea francese e un’idea tedesca-italiana”. Il primo, privilegerebbe “la discontinuità con il passato per ragioni geopolitiche (“cambiamento radicale”)”, mentre il secondo “cerca di adattare gli strumenti esistenti, su tutti il mercato unico, al nuovo contesto ma senza stravolgerli, anzi, rafforzandoli, secondo le logiche dell’economia sociale e di mercato”. Le ragioni di questa distanza sono rintracciabili, secondo il communication advisor del think tank Institute for European Polickymaking dell’Università Bocconi, nella vicinanza tra Mario Draghi e il presidente Emmanuel Macron, suo principale sponsor per un incarico europeo. “Tra le righe del discorso di Draghi c’è, quindi, un distacco da quella che è stata la cultura antitrust dell’Unione europea degli ultimi vent’anni: l’approccio di Bruxelles, dai tempi di Mario Monti commissario a Margrethe Vestager oggi, è sempre stato quello di privilegiare la tutela del mercato rispetto alle promesse di efficienza che accompagnano sempre i progetti di fusioni – scrive Feltri su Milano Finanza -. Enrico Letta invece cita il rapporto Monti del 2010 e rispetta l’ortodossia che vede il mercato unico come pilastro della costruzione europea, requisito preliminare non soltanto per la concorrenza e la moneta unica, ma anche per l’equità e – aggiunge Letta – per i diritti sociali”. I due discorsi si avvicinano in materia di “aiuti di Stato”, infatti “sia Draghi che Letta suggeriscono che la politica industriale vada fatta a livello europeo, e non con deroghe ai singoli Stati membri che poi intervengono nei settori strategici ma per tutelare le proprie aziende, invece che per aumentare la resilienza complessiva dell’Unione”. Allo stesso tempo, Draghi e Letta concordano “sul fatto che l’Unione europea sia troppo indietro nell’economia digitale”. Ma se Letta ricorda che il Digital Service Act e il Digital Markets Act assomigliano alla “declinazione dei principi antitrust” che tutelano “i consumatori e le condizioni per l’innovazione”, Mario Draghi avrebbe “un approccio più critico: le priorità politiche e i contributi in termini di idee e di ricerca non si traducono in innovazione con un potenziale commerciale, dunque non ci sono giganti digitali europei”.
IL MESSAGGIO DI LA HULPE ARRIVA DA WASHINGTON
Un’interpretazione suggestiva del discorso dell’ex Presidente della Bce arriva dal prof. della Luiss Lorenzo Castellani. “Su Draghi in molti hanno guardato il dito, cioè cosa farà eventualmente Mario Draghi nei prossimi mesi a livello UE, e non la luna – ha scritto Castellani su X -, il messaggio in bottiglia da Washington per gli alleati sul prossimo futuro attraverso un leale e credibile intermediario”. Del resto, che Mario Draghi abbia ottime entrature a Washington non è un mistero. Non a caso è stato proprio Mario Draghi a congelare il memorandum della Via della Seta costruito dal governo giallo – verde.
Su Draghi in molti hanno guardato il dito, cioè cosa farà eventualmente Mario Draghi nei prossimi mesi a livello UE, e non la luna, il messaggio in bottiglia da Washington per gli alleati sul prossimo futuro attraverso un leale e credibile intermediario.
— Lorenzo Castellani (@LorenzoCast89) April 18, 2024
LE PREOCCUPAZIONI PER IL BENESSERE DEI SINGOLI STATI POTREBBERO SOVRASTARE QUELLE COMUNITARIE
I cambiamenti epocali che sta vivendo il nostro continente sono molto chiari al Presidente Draghi che, già dall’incipit del suo discorso, spiega che “il modello di crescita europeo si è dissolto, dobbiamo reiventarci”. Un passaggio che non riesce a sposarsi con quella che Gianfranco Polillo su Formiche chiama individua come “retorica” che vorrebbe fare “dell’Europa il primo continente neutrale dal punto di vista climatico del pianeta entro il 2050”, come detto dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. E da questa considerazione derivano gli impegni che il presidente Draghi fissa per i prossimi anni. “Contare su sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti e su un sistema di difesa Ue integrato, sulla produzione domestica nei settori più innovativi e in rapida crescita, e su una posizione di leadership nel deep-tech e nell’innovazione digitale”. Una sfida non semplice, secondo Polillo, “a causa del prevalere di preoccupazioni anche legittime dei singoli Stati, ma bisogna avere il senso delle proporzioni” perché quando “la casa brucia non ha senso preoccuparsi della tappezzeria. La priorità è spegnere l’incendio”.
NEL DISCORSO DI MARIO DRAGHI DOV’È IL POPOLO?
Mario Sechi, direttore Libero, nel suo editoriale fa notare come nel discorso di Mario Draghi vi sia un grande assente: il popolo. “Qui in Italia dovremmo essere particolarmente sensibili e preparati sul punto sin dal 2011, quando, pur nel pieno rispetto formale della Costituzione, il governo Monti prese il posto dell’esecutivo Berlusconi – ricorda preoccupato il direttore Sechi, già portavoce a Palazzo Chigi sia di Monti sia di Meloni -. Tutto assolutamente legittimo, con il voto delle Camere a certificare la fiducia per il nuovo gabinetto tecnico. Eppure – da allora e per molti anni, inclusa un’esperienza di governo dello stesso Mario Draghi, fino alla vittoria di Giorgia Meloni nel settembre 2022 – si consolidò come prassi un’operazione volta a separare progressivamente il kratos, cioè l’esercizio del potere, dalla sua necessaria fonte popolare, cioè il demos”. La preoccupazione del direttore Sechi è che la “surroga commissariale di questo tipo in Italia” si trasferisca a Bruxelles “bypassando in un colpo solo elettori -partiti -governi”. Un metodo che, secondo Sechi, “presenta notevoli criticità”.
NEL DISCORSO DI DRAGHI MANCA LA POLITICA
Il direttore Sechi non è l’unico a sottolineare come nel discorso di Draghi manchi un riferimento al processo politico e democratico. L’economista Nicola Rossi (Istituto Bruno Leoni) trova che l’ex Premier non abbia concesso il giusto spazio agli europei con i “loro diversificati valori, le loro spesso molto differenziate basi culturali”. Prevale, secondo Rossi, l’approccio secondo il quale basterebbe “delineare correttamente le iniziative pubbliche perché a esse si adeguino i comportamenti dei singoli”. Una convinzione che, secondo l’ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni, “ha già mostrato i propri limiti e che spesso si è rivelata per ciò che realmente è: un’illusione”. In sostanza, “il “cambiamento radicale” di cui parla il discorso di La Hulpe sembra essere un cambiamento limitato alla sfera istituzionale e alle sue espressioni, e da essa calato sulla realtà europea. Incapace di coinvolgere la società europea. Un cambiamento meno radicale di quanto sarebbe necessario”. Una prospettiva poco politica, utile “per indicare gli obbiettivi – anche molto ambiziosi – che una organizzazione di stati può e deve porsi per essere in grado di rispondere alle sfide ma incapace di offrire un orizzonte condiviso alle relative comunità di cittadini”. Cosa di cui, secondo il prof. Rossi, “l’Europa ha oggi disperatamente bisogno”, si legge sul Foglio.
IL PROF. FABRIZIO BARCA ELENCA TUTTE LE LACUNE DEL DISCORSO DI MARIO DRAGHI
Il discorso del presidente Draghi avrebbe, però, non poche lacune. A spiegarlo è il prof. Fabrizio Barca, economista ed ex ministro per la coesione territoriale nel governo Monti. “Pesa una logica succube nel quadro internazionale, dove si insiste a ignorare che siamo entrati nel secolo dell’Asia, si ignora la priorità di ricostruire un rapporto paritario con l’Africa, si affronta mettendosi in trincea il tema delle “risorse critiche strategiche”, dove la carta vera è promuovere filiere che non dipendano da materie possedute da pochi ed estratte con altissimi costi ambientali e umani. Si mette il riarmo al centro del rilancio della domanda: la parola “difesa” ricorre ossessivamente nove volte, “diplomazia” non una – elenca Barca -. Si ignora la bandiera della concorrenza e si mira a rafforzare i monopoli. Si tratta “sociale” come vincolo di “economico”, non come un fine”. L’economista ex Bankitalia sul Fatto quotidiano prende di mira due concetti espressi da Draghi. Il primo è la “scalabilità” che, secondo Barca, ha nell’impostazione di Draghi il solo fine di “accelerare la concentrazione della conoscenza e del controllo produttivo in poche mani” anziché creare “un’infrastruttura europea” di controllo e gestione dei dati, anche sanitari, di interesse sociale. La seconda definizione è “beni pubblici” che anziché essere “beni fruibili dall’intera società senza la formazione di profitti privati” nella retorica dell’ex premier si trasdurrebbero nella “capacità di indebitamento comune dell’Unione” da scaricare sulle future generazioni. A questo si aggiunge che “l’agenda climatica ambiziosa viene citata solo per dire che è giusta, ma poi, nei fatti, parlando di “industrie ad alta intensità energetica” si evoca il carico normativo maggiore e i minori sussidi delle imprese europee rispetto alle concorrenti”.
IL DISCORSO DI DRAGHI APRE A UN’UNIONE EUROPEA DIRETTA VERSO L’ALLEANZA MILITARE
Sensibilmente più critico è il prof. Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano, che, sul Sussidiario, ha ricordato i tanti incarichi del passato di Mario Draghi “compresi quelli del Britannia e della svendita pilotata dell’IRI sulla base del Patto Andreatta-Van Miert”. Ma non solo. “Draghi è uno dei massimi responsabili delle politiche deflattive che hanno distrutto benessere e Stato sociale dai tempi della Grecia – aggiunge il prof. Mangia -. Adesso dice ciò che tutti le persone di buon senso sapevano, ossia che politiche procicliche in tempi di crisi alimentano la crisi”. Nell’analisi del prof. Mangia le parole del presidente Draghi sarebbero volte a dare il là per la costruzione di “un nucleo politico-economico per alimentare lo stato di guerra in cui è destinata a scivolare l’Europa a discapito dei discorsi sulla ever closer Union”. Il “sistema di collaborazioni intergovernative” sarebbe un altro modo per chiamare un’alleanza militare e il Trattato del Quirinale e il Trattato di Aquisgrana altro non sarebbero che prove generali. “Entrambi erano e sono trattati politici, e cioè alleanze militari rafforzate – dice il prof. Mangia -. Non a caso imperniate sulla collaborazione delle industrie militari come volani di crescita e di profitto. Mentre Eurogendfor è la polizia militare interna dell’Unione destinata ad operare a supporto di questo progetto”.
IL DISCORSO DI LA HULPE COMPLICA LA CORSA DI DRAGHI
Il discorso di La Hulpe metterebbe, in realtà, i bastoni tra le ruote per l’attribuzione di un ruolo all’ex Premier. A pensarla così è il direttore editoriale di Formiche.net Roberto Arditti. “Adesso c’è (potenzialmente) una nuova corsa, di cui le dichiarazioni di martedì sono, politicamente parlando, una conferma marchiata con il fuoco. Allora io mi domando, ma che senso ha alzare così tanto il tiro quando i giochi sono tutti da fare e le sensibilità tanto diverse e difficilmente conciliabili – si interroga il direttore Arditti -? E ancora: è pensabile una candidatura con parziale o scarsa sintonia con il Paese d’origine, che ha al governo una coalizione tutt’altro che automaticamente pronta a sostenere l’ipotesi Draghi? È quindi utile ad ottenere l’appoggio di Giorgia Meloni tutto questo protagonismo? Io penso di no. Il Draghi migliore, quello dei vecchi tempi era (anche) un abile tessitore dietro le quinte. Quello “troppo” pubblico rischia di non funzionare”.