Caro direttore,
ero rientrato in Italia per le vacanze di Natale e, preso da una botta di nostalgia, mi sono fermato a un’edicola per comprare L’Espresso. Mosso dai ricordi della gioventù e della straordinaria rubrica di Umberto Eco, “La bustina di Minerva”, ho pagato 4 euro e mi sono portato a casa il numero 52 anno 69 del settimanale, datato 29 dicembre 2023.
Mi siedo e inizio a sfogliarlo. La carta me la ricordavo migliore, ma sono tempi di crisi: fa niente. Apro la rivista e mi accoglie un editoriale di Alessandro Mauro Rossi, direttore dell’Espresso, sulla decisione dell’Espresso di nominare Elena Cecchettin “Persona dell’anno 2023” secondo L’Espresso. Seguono altre informazioni piuttosto autoreferenziali, ma si sa che gli ultimi giorni dell’anno sono momenti di bilanci: è giusto così, dai.
Rossi, già direttore di Forbes Italia, è subentrato a Lirio Abbate una manciata di mesi dopo la nomina di quest’ultimo, il cui progetto editoriale non aveva evidentemente convinto l’editore Danilo Iervolino. Iervolino ha peraltro ceduto l’intera proprietà dell’Espresso (già scaricato dal gruppo Gedi) agli Ammaturo, la famiglia di petrolieri che controlla la società energetica Ludoil Energy. Quindi il giornale della sinistra rebelde si finanzia con i soldi dell’oil & gas: sono i tempi, che ci vuoi fare.
Ricordo ai lettori questo passo di Startmag che raccontava i rapporti cordiali – per usare un eufemismo – tra Alessandro Mauro Rossi e la famiglia Ammaturo.
L’arrivo dei capitali della famiglia Ammaturo fu celebrato con toni a dir poco entusiastici da Forbes, allora diretto da Alessandro Mauro Rossi (attuale direttore anche del settimanale L’Espresso). “La storia dell’energia in Italia porta impresso il nome di Donato Ammaturo”, scriveva il direttore che definì l’imprenditore addirittura “visionario” per aver “trasformato un’azienda familiare, fondata nel 1954 da suo nonno, anche lui Donato, in uno dei gruppi energetici privati più importanti in Europa”
Che altro dire.
In realtà, caro direttore, di cose da dire sul nuovo L’Espresso ce ne sono. Al di là della generale fiacchezza di contenuti – pagine riempite di foto già viste e riviste ovunque (siamo nell’era dei social, no?) e pochissime notizie – ho trovato alcune contraddizioni piuttosto gustose.
Anzitutto, il numero è dedicato alle “pagelle del potere”, e Marina Berlusconi si è beccata un bel 6,5. Dopo decenni di anti-berlusconismo, la primogenita di Silvio è riuscita a superare la sufficienza: questa è una notizia! Marco Damilano, uno dei direttore dell’Espresso antiberlusconiano, sarà rimasto basito.
Ho notato poi che un tema cruciale come quello dell’ex Gkn è stato affidato a Diletta Bellotti, che risponde al nome di battaglia di “ecoteppista” e di professione fa l’influencer su Instagram e l’attivista contro le agromafie. Decisamente la persona giusta per parlare di crisi industriale: e infatti il pezzo è straordinario, denso di fatti e assolutamente privo di vuote formule retoriche come “ridare al territorio i posti di lavoro bruciati, di creare una fabbrica socialmente integrata al servizio della collettività”. Che significa? Boh.
Anche Franco Corleone, storico esponente dei Verdi, ha una rubrica: il nuovo che avanza. Una pagina (La spesa utile. Meno inaugurazioni e più manutenzioni) è stata data anche a Massimiliano Atelli, Presidente Commissione Via Vas e Commissione Pnrr Pniec del Mase (ministero dell’Ambiente). Poche pagine prima, un articolo sullo spazio è denso di citazioni del ministro Adolfo Urso. Per essere un settimanale di sinistra-sinistra, le ospitate al governo di destra-destra mi sembrano piuttosto numerose.
Poi compare Alberto Bruschini, ex-amministratore di Banca Monte dei Paschi di Siena arrestato nel 1993 e assolto dieci anni dopo, per parlare di tassazione alle grandi compagnie digitali straniere.
L’approfondimento all’immancabile transizione energetica affronta il tema delle terre rare: bene, giustissimo, c’è bisogno di buona informazione su questioni così delicate e così determinanti per il nostro futuro. Leggendo l’articolo, però, ho avvertito qualcosa di strano: si parla di terre rare, eppure si citano il litio, il titanio, il cobalto, lo zinco. Ho mandato una mail a un tuo giornalista che si occupa spesso di queste cose per avere conferme ai miei sospetti, e le ho ottenute: né il litio, né il titanio, né il cobalto e nemmeno lo zinco di cui si parla nell’articolo sono terre rare; al massimo sono minerali critici, o materie prime critiche. Va be’, che vuoi che sia. Il tuo giornalista invece non l’ha presa benissimo, a giudicare dallo sfogo su X: se oggi è nervosetto, sappi che la colpa è mia.
Arrivo esausto all’ultima pagina, caro direttore. E nello spazio che fu di Eco mi ritrovo… Ray Banhoff, che scopro essere scrittore e fotografo di “eccentrici” e “inclassificabili”.
Non cederò mai più alla nostalgia.
Un caro saluto,
Francis Walsingham