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Cosa combinerà Letta per il Quirinale?

La nota di Paola Sacchi

 

Prima la mossa, in abbinata con Giuseppe Conte, tesa a negare di fatto quel ruolo da king maker che Matteo Renzi aveva riconosciuto al centrodestra, anche per ragioni tattiche che potrebbero accentuare la funzione da ago della bilancia di Iv; poi, ieri, anche la sottolineatura che un leader di partito non è mai diventato Capo dello Stato. Enrico Letta sembra in tutti i modi tentare di allontanare l’ipotesi di una candidatura di Silvio Berlusconi al Colle. O, comunque, altre ipotesi che non vedano al centro il Pd e il suo “campo largo”, o stretto, a seconda dei punti di vista, con i Cinque Stelle, dal momento che la sinistra per la prima volta non ha autosufficienza numerica.

Letta scomoda anche l’elezione di Giovanni Leone, definendola come “una ferita”, in quanto rappresentò l’elezione “solo di una parte politica”. Le uscite del segretario del Pd però ottengono un effetto contrario, non voluto, cioè quello di mettere ancora più in risalto le difficoltà di una sinistra che, senza un candidato, si trova sotto il pressing virtuale dell’ipotesi Cav. Seppur non ci sia una candidatura ufficiale dell’ex premier e presidente di Forza Italia, il suo nome è più che mai al centro del dibattito e di tutte le preoccupazioni a sinistra. Lo stesso fatto che Berlusconi abbia deciso di non andare (ufficialmente per una indisposizione) per la prima volta alla presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa, e ieri in presenza fisica neppure a quella del libro La Variante Dc (Solferino) di Gianfranco Rotondi, ha ottenuto l’effetto di accendere maggiormente i riflettori sull’ipotesi che più di tutte sembra inquietare la sinistra.

Secondo interpretazioni maliziose, Berlusconi lo avrebbe fatto per non rispondere a domande volte a sciogliere la sua riserva. Ma da Rotondi è stato presente con un video messaggio dove ha sottolineato l’importanza del governo Draghi anche per aver avviato la legittimazione reciproca tra i due schieramenti: “Ha avuto il merito storico di creare le condizioni per un bipolarismo maturo, con il rispetto reciproco”. Parole in linea con quello che la candidatura di Berlusconi potrebbe rappresentare. Come hanno sempre specificato quelli più vicini a lui, se dovesse decidere di candidarsi o meglio esser candidato, “il suo gesto avrebbe il valore della pacificazione del Paese”, “l’attuazione del discorso che fece a Onna, portato in spalla dai partigiani”. Secondo indiscrezioni, il leader azzurro avrebbe dato ai suoi alleati l’indicazione di votare scheda bianca alle prime votazioni, per arrivare alla quarta quando per essere eletti basterà la maggior semplice.

Il Pd, intanto, al di là del tentativo di sminuirlo, non può aver visto di buon occhio anche il protagonismo di Matteo Salvini, che ha telefonato a tutti i leader di partito, a cominciare dall’alleato Berlusconi, “la cui candidatura è reale, non di bandiera”, come ha detto da Giorgia Meloni a Atreju. Di più, il leader leghista ha proseguito i suoi colloqui anche con rappresentanti del territorio, Regioni, Comuni e Province, dichiarandosi soddisfatto. E ieri sera, in tv a “Non è l’Arena” di Massimo Giletti, ha confermato che se Berlusconi offrirà la disponibilità “la Lega darà il suo leale sostegno, perché la Lega ha una sola parola”. Salvini ha comunque ribadito che “se Berlusconi dovesse invece cambiare idea, il centrodestra avrà altri nomi validi”. Un po’ più tiepida di Salvini è apparsa la presidente di Fratelli d’Italia, Meloni, che comunque si è dichiarata favorevole a una candidatura del Cav. E ieri a Il Corriere della Sera ha aggiunto che “dipende dalle convergenze possibili, non solo da noi”.

Comunque sia, al Pd soprattutto ora resta la fatidica domanda del che fare. La speranza, nonostante i ripetuti dinieghi dello stesso interessato, e i tentativi di un Mattarella bis restano sullo sfondo. Ma, secondo un’indiscrezione, che va presa per tale, starebbe venendo fuori anche l’ipotesi di Giuliano Amato. Una figura, che, secondo alcuni attenti osservatori delle cose del Pd, potrebbe essere gradita allo stesso Mario Draghi. Se il premier, visto anche il rinnovo dello stato di emergenza, decidesse di non correre per il Colle , secondo ragionamenti in corso tra i dem, potrebbe però gradire che almeno al Quirinale si insedi una personalità che goda della sua forte fiducia per il completamento dell’opera in corso, per uscire dalla pandemia e per il Pnrr, un lavoro ieri elogiato dalla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, nello scambio di auguri con la Stampa Parlamentare. E il premier Draghi ha un ottimo rapporto con Amato fin dai tempi di Bankitalia. Il vicepresidente della Corte Costituzionale era poi anche il candidato per il quale Berlusconi ruppe il patto del Nazareno con Renzi che invece decise per Mattarella.

E i Cinque Stelle come reagirebbero? Qualcuno fa notare che Amato avrebbe allacciato un buon rapporto negli ultimi tempi anche con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. E comunque sia è tale il no dei parlamentari, tra i quali molti di prima nomina sono pentastellati, al voto anticipato che qualche grillino avrebbe coniato la sigla “TTD”. Ovvero, tutti tranne Draghi.

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