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Dall’europeista Bruegel arrivano sberle all’Ue sulle sanzioni alla Russia

Secondo Maria Demertzis, professoressa all'Istituto universitario europeo e fellow del think tank brussellese Bruegel, le sanzioni Ue alla Russia non hanno avuto successo. Ecco perché.

“Se l’obiettivo delle sanzioni è ridurre la capacità bellica della Russia, allora perché non hanno avuto successo?”. Se lo è chiesto Maria Demertzis, professoressa di Politica economica all’Istituto universitario europeo di Fiesole (un organo indipendente dell’Unione europea) in un intervento sul sito del think tank brussellese Bruegel.

CHI È MARIA DEMERTZIS

Stando alla biografia pubblicata su Bruegel, di cui è senior fellow ed è stata vicedirettrice fino al dicembre 2022, Demertzis è attualmente professoressa part-time a Fiesole. In passato ha lavorato presso la Commissione europea e la banca centrale dei Paesi Bassi. Ha ottenuto un dottorato all’Università di Strathclyde, nel Regno Unito, e ha lavorato anche all’Harvard Kennedy School of Government, negli Stati Uniti.

PERCHÉ LE SANZIONI EUROPEE NON HANNO FUNZIONATO: LA POSIZIONE DI PARTENZA

Secondo Demertzis, il primo dei tre motivi per i quali le sanzioni europee alla Russia non avrebbero funzionato è che l’Unione “è partita da un punto di debolezza”, perché la profonda dipendenza del blocco dall’energia russa – in particolare dal gas naturale, ma anche dal petrolio – “ha comportato una riduzione solo parziale dei legami economici” con Mosca.

Questo perché, se si mette da parte l’energia, l’Unione europea non acquista molto altro dalla Russia, né la Russia è un mercato così importante per le esportazioni comunitarie di beni. “Di conseguenza”, scrive Demertzis, “i pacchetti di sanzioni che l’Ue ha imposto alla Russia durante il primo anno hanno fatto ben poca differenza sul flusso di entrate che la Russia ha ricevuto”.

LA MANCANZA DI ALLEATI

Il secondo motivo del presunto fallimento delle sanzioni europee è la mancanza di alleati: nel mondo, molti paesi – pur non schierandosi apertamente con Mosca per l’invasione dell’Ucraina – non hanno voluto prendere posizione per non pregiudicare alcun rapporto economico. In verità, oltre all’Unione europea, anche gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, il Giappone e l’Australia, tra gli altri, hanno imposto sanzioni contro la Russia.

LA RUSSIA HA SOSTITUITO L’EUROPA CON LA CINA?

Secondo Demertzis, la Russia ha riorientato le proprie esportazioni energetiche destinate all’Europa verso la Cina e l’India, che sarebbero “riuscite ad assorbire ciò che l’Ue acquistava in precedenza”. In realtà, c’è una differenza non solo di rendite (Mosca ha venduto gas e greggio all’Asia con un forte sconto) ma anche di volumi. Relativamente alla Cina, nel 2023 le esportazioni di gas russo via tubo verso questo paese dovrebbero raggiungere i 22 miliardi di metri cubi, rispetto ai 15,5 miliardi del 2022; nel 2021, prima della guerra, l’Unione europea ha importato quasi 146 miliardi di metri cubi di gas russo via tubi.

LA FRAMMENTAZIONE DEL SISTEMA GLOBALE

La terza ragione, conclude Demertzis, è che le sanzioni europee “contribuiscono a un sistema globale già frammentato, che ne complica ulteriormente l’applicazione”.

“Dopo il congelamento degli asset della Banca di Russia”, spiega la professoressa, “i paesi hanno aumentato la diversificazione delle riserve estere nei loro bilanci allontanandosi dalle valute più commerciabili. Mentre il dollaro e l’euro hanno mantenuto le loro posizioni relative nelle riserve internazionali, nel 2022 si è registrata una riduzione globale delle riserve di circa il 10% a favore di una maggiore quantità di oro”.

È notizia recente che la Russia vorrebbe che l’India acquistasse il suo petrolio pagandolo in yuan, la valuta cinese, ma Nuova Delhi sta respingendo queste richieste per non avvantaggiare Pechino, sua rivale in Asia. Mosca ha bisogno di yuan perché nell’ultimo anno il suo commercio con la Cina è cresciuto molto, e la domanda di questa valuta è aumentato parecchio per il pagamento delle importazioni; di contro, il Cremlino ha un eccesso di rupie che ha difficoltà a smaltire (la rupia indiana non è una valuta pienamente convertibile a livello internazionale, dunque è difficile utilizzarla negli scambi internazionali).

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