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Ecco gli effetti economici in Iran dello strattone di Trump

L’analisi di Francesca Manenti del Cesi (Centro studi internazionali), sulle conseguenze dell’ultimo annuncio di Trump per l’Iran Anche a fronte di una resistenza da parte europea a nuove disposizioni di Trump, non solo le limitazioni ad oggi presenti nelle interazioni tra soggetti iraniani e statunitensi aumenterebbero considerevolmente, limitando il margine di manovra di qualsiasi azienda…

Anche a fronte di una resistenza da parte europea a nuove disposizioni di Trump, non solo le limitazioni ad oggi presenti nelle interazioni tra soggetti iraniani e statunitensi aumenterebbero considerevolmente, limitando il margine di manovra di qualsiasi azienda o banca terza con legami nel sistema statunitense, ma anche le autorità iraniane potrebbero vedersi costrette a fare un passo indietro e denunciare il JCPOA.

Il ritiro di Washington e la conseguente disattesa degli impegni presi a Vienna, infatti, potrebbe costringere il Governo Rouhani a prestare il fianco alle critiche provenienti dagli ambienti ultraconservatori interni, da sempre scettici verso qualsiasi forma di dialogo con gli Stati Uniti.

Il fallimento dell’accordo, dunque, potrebbe portare l’attuale esecutivo a dover cedere alla retorica antioccidentale e ad abbandonare quel processo di apertura verso l’esterno che è stato il cavallo di battaglia del Presidente Rouhani sin dalla prima campagna elettorale del 2013. Ciò potrebbe generare effetti sull’orientamento esterno del Paese così come sugli equilibri interni.

Da un punto di vista esterno, il deragliamento del JCPOA e l’interruzione dei neo-rinati rapporti commerciali potrebbe spingere, con più solerzia rispetto a quanto accada oggi, le autorità iraniane verso oriente, per stringere rapporti con i ricchi, e politicamente meno interessati agli affari interni, giganti economici dell’Asia, specialmente del Nordest Asia.

L’attrattiva di questi mercati, così come le possibilità di veder incrementare gli investimenti esteri nel Paese, marginalizzerebbero, inevitabilmente, l’importanza delle relazioni con l’Occidente, in particolare, con l’Europa. Da un punto di vista interno, invece la fine del JCPOA così come delineato a Vienna darebbe innanzitutto nuovo spazio di critica ai conservatori, che chiederebbero contezza al governo degli scarsi risultati ottenuti in tre anni di fiducioso dialogo con l’esterno.

In particolare, un eventuale passo indietro degli Stati Uniti o dei Paesi europei potrebbe venire strumentalizzato da quegli ambienti da sempre contrari alla trattativa per accusare l’attuale esecutivo di aver ceduto di fronte alle pressioni internazionali e di non essere stato in grado di tutelare gli interessi dello Stato. Il danno di credibilità politica agli occhi dell’opinione pubblica sarebbe ulteriormente aggravato dagli effetti deleteri che una revisione del JCPOA potrebbe avere sull’economia iraniana.

Il ripristino anche solo parziale di alcune sanzioni contro il Paese, infatti, irrigidirebbe ulteriormente gli spazi di collaborazione con l’estero ad oggi esistenti e costringerebbe il governo a dover adottare nuove misure impopolari, come l’aumento del gettito fiscale o nuove misure deflative, per rendere sostenibili le casse dello Stato. Ciò potrebbe però tradursi in un considerevole calo di consensi nei confronti di Rouhani e del fronte pragmatista, quanto mai delicato in vista delle elezioni del 2021.

(estratto di un report del Cesi)

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