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Governo Libico

Ecco le vere mire (energetiche) della Turchia in Libia

Parole, mosse e alleanze della Turchia in Libia. L'approfondimento di Andrea Mainardi

Già ieri sera un Airbus della Libyan Airways con a bordo 250 miliziani (jihadisti?) siriani è decollato da Istanbul. Direzione Tripoli. Non è la prima volta che dalla Turchia partono mercenari inviati a sostegno di Fayez al-Sarraj e il suo governo di Accordo nazionale della Libia, attaccato dalle forze del generale Khalifa Haftar. Il trasferimento va avanti da alcuni giorni. Secondo lo storico e analista in materia Difesa, Babak Taghvaee, a fine dicembre ne sono partiti circa 800. E un migliaio si troverebbe in campi di addestramento turchi, con un ingaggio dai tre ai sei mesi; compenso tra i 2 e i 2,5mila dollari.

ANKARA VUOL MANDARE I MILITARI

Tutto certifica di una tensione nel Mediterraneo orientale che sta raggiungendo l’ acme. Tensioni che si accumulano nell’acqua ricca di idrocarburi che lambisce le coste dell’Europa, dell’Africa e del Medio Oriente. Lo mette nero su bianco l’annunciato via libera di giovedì – con quasi una settimana di anticipo rispetto al previsto – del Parlamento di Ankara all’invio di truppe turche a Tripoli in appoggio al governo di al-Sarraj sostenuto dalle Nazioni Unite. Esito: 325 sì, 184 no.

MA LA GUERRA SI GIOCA SUL GASDOTTO EASTMED

La mossa turca arriva lo stesso giorno in cui Israele, Cipro e Grecia hanno siglato ad Atene un nuovo accordo per il trasporto di gas naturale dal Mediterraneo orientale fino all’Italia – assente alla firma di Atene – e all’Europa, aggirando la Turchia. È il gasdotto EastMed, che punta a fornire circa il 10 percento del gas naturale europeo, riducendo la sua dipendenza da quello russo. Progetto benedetto dagli Usa. Ma l’evitare il transito in Turchia non può che dispiacere al presidente Recep Tayyip Erdoğan. Secondo Efraim Inbar, presidente dell’Istituto di studi strategici di Gerusalemme, “Ankara si considera un hub energetico e preferisce che il gas del Mediterraneo orientale passi attraverso la Turchia”, proprio per rafforzare la sua posizione geopolitica.

I FRONTI APERTI DI DONALD TRUMP

Il disco verde di Ankara all’invio delle sue truppe ha scontentato Donald Trump. La Casa Bianca si è subito affrettata ad avvertire Erdoğan che gli Stati Uniti sono contro ogni “interferenza esterna” in Libia. Una telefonata tra i due leader è intercorsa appena poche ore prima del blitz delle forze armate americane in Iraq, con l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani. Esecuzione rivendicata dal Pentagono su mandato diretto di Trump. Esecuzione che alza la posta. E che dice anche di come sia difficile vedere Washington concentrarsi su una de-escalation della polveriera libica, con tutti gli occhi concentrati su Baghdad e l’Iran.

ITALIA COLTA DI SORPRESA

Intanto le analisi sui movimenti di Ankara si declinano in letture differenti. Il governo italiano per il momento sembra di nuovo colto di sorpresa per quanto accade nel cortile della Penisola, tanto era nei giorni scorsi in altre faccende di litigi condominiali impegnato.

IL SULTANO FA SUL SERIO?

La domanda che gli esperti più attenti si pongono è quanto Erdoğan faccia (possa fare) sul serio. Di certo c’è solo che la Turchia, con decenni di tensioni con Grecia e Cipro e, più recentemente, con Israele, si è fortemente opposta al gasdotto EastMed. E che sta giocando una battaglia navale più ampia.

LA LOTTA SUI CONFINI IN MARE

In ballo c’è infatti anche il recente accordo di Ankara con il governo libico di Tripoli che stabilisce confini marittimi in conflitto con quelli previsti da Israele, Cipro, Grecia ed Egitto. Gli accordi Turchia-Libia, secondo il Financial Times, pongono un nuovo confine marittimo vicino all’isola di Creta “e potrebbero compromettere i piani per il gasdotto EastMed”. Per Grecia e Cipro quell’accordo è nullo. Anche per questo – è lettura diffusa – Erdoğan sta cercando di giocare un ruolo da protagonista nella guerra libica. Così da soddisfare gli appetiti per il gas mediterraneo. Ne ha davvero le forze?

“NON MUOVE NULLA SENZA PUTIN”

“Sarà difficile per la Turchia sostenere una presenza militare in Libia senza una sorta di via libera di Vladimir Putin”. Lo sottolinea, ad Axios, Soner Cagaptay, autore di Erdoğan’s Empire e direttore del Washington Institute’s Turkish Research Program. Putin insieme a Emirati Arabi, Egitto, Giordania e Arabia Saudita appoggia il “ribelle” Haftar.

PAROLA D’ORDINE: SABOTARE IL GASDOTTO

Lo stesso Cagaptay sentito da Jns, mette l’accento proprio sulla questione energetica. La Turchia sta cercando di sabotare l’accordo sul gasdotto EastMed? “Ankara vede che i suoi vecchi avversari, Grecia e Cipro, e i suoi nuovi avversari, Israele ed Egitto, stanno formando un asse marittimo che la sta bloccando”. Non sono mancate azioni della marina turca nelle acque del Mediterraneo, anche verso una nave israeliana e una italiana.

IL MEDITERRANEO VAL BENE TRIPOLI

Ecco perché il presidente turco ha firmato accordi marittimi e di sicurezza con il governo di al-Sarraj. Erdoğan – spiega Jasper Mortimer di France 24 – ritiene che se supporta militarmente il governo di Tripoli, Tripoli sosterrà i suoi interessi marittimi. Ma, appunto: Tripoli reggerà all’assedio di Haftar?

All’alba di un nuovo decennio, l’ostilità storica tra Grecia e Turchia, alimentata e nutrita fin dall’epoca ottomana, minaccia di afferrare il centro della scena, sfidando le risoluzioni diplomatiche tra due membri della Nato e potenzialmente attirando Russia, Israele, Egitto e potenze locali rivali in Libia.

NON SOLO ENERGIA

Sarraj e i suoi alleati libici locali sono ampiamente considerati vicini alla Fratellanza musulmana. “Sarraj non è un Fratello Musulmano, ma permette alle forze sostenute dai Fratelli Musulmani di unirsi alla sua coalizione e questo è profondamente problematico”, sottolinea alla radio Rfi, Mitchell Belfer, dell’Euro-Gulf Information Centre.

A PROPOSITO DI PUTIN. E IL PRECEDENTE SIRIANO

In risposta al voto di giovedì, il deputato russo Dmitry Novikov ha affermato che una presenza turca in Libia “deteriorerebbe solo la situazione”. Mosca e Ankara sono state in contrasto sostenendo schieramenti opposti nella guerra siriana e riuscendo comunque a lavorare insieme nell’ambito del processo di pace di Astana. Erdoğan incontrerà Putin la prossima settimana. A Tripoli, evidentemente l’amministrazione assediata di Sarraj spera che la Turchia sia in grado di stabilire una piattaforma diplomatica con la Russia, come il processo di Astana sulla Siria, per affrontare la crisi libica.

SHOPPING ENERGETICO

La questione è che la mossa di Erdoğan per appoggiare militarmente il governo internazionalmente riconosciuto a Tripoli è stata fatta tenendo d’occhio i redditizi contratti di idrocarburi nella nazione nordafricana. “Quando la guerra civile libica finirà, il governo libico distribuirà contratti per i giacimenti petroliferi e di gas naturale del paese e la Turchia vorrebbe ottenerne una fetta consistente”, sottolinea il reporter Jasper Mortimer. “Tuttavia, tutto dipende dalla sopravvivenza del governo di Tripoli. Haftar afferma di non riconoscere il patto di sicurezza che il governo di Tripoli ha firmato con Erdoğan. Quindi, se i ribelli (Haftar, ndr) vincono, la Turchia non otterrà i contratti energetici e non avrà la possibilità di sfruttare i minerali in quella grande parte del Mediterraneo”.

TRIPOLI CHIEDE PIÙ DI QUANTO ANKARA POSSA DARE

Il punto è quanto Ankara possa (voglia?) impegnarsi militarmente sul campo. La Turchia ha già fornito veicoli blindati e droni armati al governo di Tripoli. Il ministro della Difesa di Erdoğan, Hulusi Akar, ha dichiarato in un discorso televisivo che le truppe turche forniranno “supporto tecnico e addestramento militare”. Come ricorda l’analista Cagaptay, Erdoğan ha mostrato in Siria che non è disposto a rischiare uno scontro diretto con la Russia e “non lo farà nemmeno in Libia”. E ancora: “In assenza della leadership americana, dato che gli europei litigano tra loro, penso che Turchia e Russia emergeranno come mediatori di potere in Libia, come è avvenuto anche in Siria”.

L’ANALISI DI GAIANI

“Al consolidato invio di consiglieri militari, armi, veicoli, droni armati e più recentemente mercenari siriani si aggiunge ora l’attesa per lo sbarco a Tripoli e Misurata di 5mila militari turchi con un numero imprecisato di velivoli, elicotteri, cargo e forse anche caccia F-16. Quanto basta per indurre molti in Tripolitania a considerare i turchi come gli unici alleati affidabili”, nota il direttore di AnalisiDifesa, Gianandrea Gaiani.

LA VALUTAZIONE DI FLORIAN

Sbarco in massa non in vista, invece, per un altro analista di energia e geopolitica, Marco Florian: “Erdogan fa fumo propagandistico, ma in Libia non si farà vedere se non con consiglieri e mercenari. Un flop e addio… Ankara non ha la forza economica, industriale, militare, logistica per seguire i sogni di Erdoğan”.

https://twitter.com/MarcoFlorianMED/status/1212772607893942272

Lettura condivisa dal greco Militaire:

MEZZI E MILITARI CERCASI

“Ad Ankara, il regime di Erdoğan, nonostante le dichiarazioni arroganti, ha realizzato che l’avventura in Libia è molto pericolosa. Le autorità turche sono chiamate a sostenere un’attività che si troverà a 2.000 km dalla Turchia, senza alcun sostegno da parte dei paesi libici vicini”. Erdoğan promette di inviare da 150 a 200 truppe in sostegno di Tripoli. Ma quel governo ha chiesto molto di più: “Almeno da 6 a 8 aerei da combattimento F-16, velivoli di allerta precoce, forze navali tra cui fregate e uno o due sottomarini e lo spiegamento di almeno 3.000 truppe”. Tanto. Troppo per la sola Turchia? Il pericolo, incalza Florian, è che “Erdoğan sia l’utile idiota di Pechino e Mosca per destabilizzare Nato e Ue”.

https://twitter.com/MarcoFlorianMED/status/1212834631642423296

LE REAZIONI NEL MONDO E IN ITALIA

Nel frattempo Trump, dopo la telefonata con il presidente turco, srotola via Twitter la bandiera americana: è per festeggiare l’uccisione all’aeroporto di Baghdad, in Iraq, di Qassem Soleimani, il capo delle Guardie rivoluzionarie iraniane.

https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1212924762827046918

Bruxelles precisa che una soluzione militare per la Libia “non esiste” e ribadisce il suo appello “cessare tutte le azioni militari e riprendere il dialogo politico”.

Il Pd chiede al pentastellato ministro degli Esteri Luigi Di Maio di riferire in Parlamento. La sua vice (pd), Marina Sereni, anticipa la risposta con un tweet.

L’opposizione si scatena. Dal leghista Claudio Borghi

alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni

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