Il 22 marzo 2021 è un giorno che alla Banca Centrale turca ricorderanno.
Con la decisione improvvisa del presidente Erdogan di rimuovere Naci Agbal, il governatore della banca centrale del Paese, la lira turca ha perso fino al 15% contro il dollaro.
Il licenziamento di Agbal per i mercati finanziari è stato un autentico shock.
Il governatore infatti stava applicando una politica di rialzo dei tassi d’interesse per aumentare il valore della Lira e così contrastare l’inflazione galoppante in Turchia. Politica monetaria molto apprezzata da investitori locali e stranieri che stava dando buoni risultati.
La sua defenestrazione improvvisa ha portato al crollo, le cui motivazioni sono state ben spiegate da Sean Callow, stratega valutario senior di Westpac: “La lira viene affossata dagli investitori che temono che il custode del suo valore (la Banca centrale turca) non condivida le loro speranze per una valuta stabile sostenuta da tassi di interesse reali positivi”.
La mancanza di fiducia verso l’indipendenza della Banca centrale ed i dubbi sulla situazione economica del Paese e sulla sua capacità di finanziarsi hanno quindi portato il tracollo della valuta e la sospensione delle contrattazioni sulla borsa di Istanbul.
Il tracollo della Lira infine è stato contenuto ad una perdita dell’8% sul dollaro americano, sono servite le rassicurazioni del ministro delle finanze Lutfi Elvan, che ha ribadito che la Turchia seguirà le regole del libero mercato.
Il timore è quello che la politica monetaria turca sia giunta ad un bivio.
Da un lato la stabilizzazione dei tassi d’interesse (auspicato dalla comunità finanziaria internazionale), dall’altro il controllo sui capitali esteri. Con la defenestrazione di Agbal e la nomina di Sahap Kavcioglu alla banca centrale, Erdogan sembra aver scelto la seconda opzione anche se per ora non se ne parla. Al momento le probabili prime mosse di Kavcioglu saranno probabilmente diminuire i tassi d’interesse e utilizzare riserve per stabilizzare la Lira.
Kavcioglu, economista ex parlamentare dell’Akp, infatti è un sostenitore della cosiddetta Erdonomics, una politica fatta di teorie, economicamente molto discutibili, per cui l’aumento dei tassi d’interesse aumenta direttamente l’inflazione.
Agbal stava facendo ciò che una sana visione della macroeconomia suggerisce: alzare i tassi d’interesse per fa alzare il valore della Lira. Nei suoi pochi mesi di mandato era riuscito con questa politica a far riacquistare alla Lira circa il 15% del suo valore sul dollaro Usa, tenendo conto che negli ultimi due anni la moneta del Sultano aveva perso circa il 40% del suo valore. Tanto che si era venuta a creare una situazione insostenibile di aumento del costo dell’indebitamento e prosciugamento delle riserve valutarie bruciate sui mercati per difenderne la quotazione.
Le politiche di Agbal erano un segnale d’indipendenza, qualità che nell’attuale Repubblica di Turchia non sembra sempre essere molto apprezzata.
Opportuno sottolineare però che l’indipendenza della banca centrale è un requisito molto importante in un’economia di mercato. La separazione dal potere politico infatti fa intendere che la banca centrale persegue i propri obiettivi di mandato e non le voglie del politico di turno. L’assenza di questa condizione, come in Turchia, è un segnale importante che disincentiva gli investitori internazionali. Con questo cambio al vertice della banca centrale Erdogan è alla nomina del quarto presidente in due anni, alla ricerca di una figura a capo della banca centrale che attui l’Erdonomics in maniera vincente (sempre se possibile).
La crisi economica della Turchia è una potenziale bomba ai confini dell’Europa, la Turchia è uno Stato troppo importante per collassare. Inoltre più diventa fragile il Paese, più le sue politiche diventano spregiudicate: sia in ambito interno dove Erdogan per tenersi fedeli i circoli islamici più radicali, è uscito il 23 marzo dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza, sia in ambito esterno, con una politica estera più aggressiva che diplomatica, nel Mediterraneo orientale.
Nel frattempo, nella crisi di un Paese che si ritrova nell’ombra di ciò che vorrebbe essere, cinesi, russi e monarchie del golfo fanno acquisti strategici nel Paese. Ankara sta scivolando sempre più verso Oriente.