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D'alema

Cosa dice (e cosa non dice) D’Alema su Putin e Kosovo

L'intervento di Marco Mayer, funzionario delle Nazioni Unite in Kosovo dall'ottobre 1999 all' ottobre 2022.

 

Su Il Tempo, in un articolo di Claudio Querques, leggo che “Putin ha le sue ragioni…”

Pillole del Massimo D’Alema-pensiero, pillole concesse a piccole dosi e sulle quali si potrebbe anche glissare se non fosse che a schierarsi è l’ex presidente del Consiglio che nell’autunno nel 1999 autorizzò l’uso del nostro spazio aereo per bombardare la Serbia.

Differentemente atlantisti, verrebbe da dire. E senza rimorsi.

D’Alema ha affermato: “La nostra preoccupazione fu di fare la guerra con gli Alleati, ma anche creare i presupposti per un accordo – rivendica il presidente della Fondazione Italian europei – I primi a entrare a Pristina furono i soldati russi che facevano parte del contingente internazionale ONU”.

Quest’ultima affermazione dell’ex segretario dei Ds sembrerebbe accreditare l’idea che l’arrivo per primi dei militari russi all’aeroporto di Pristina fosse la conferma del buon rapporto tra Russia e NATO.

Peccato che le cose siano andate diversamente. È noto la Russia si oppose duramente ai bombardamenti NATO, ma è meno noto che Mosca non trovò un accordo sostanziale sul terreno neppure nella fase successiva di stabilizzazione post-conflitto.

La Russia ambiva, infatti, a guidare e controllare un’area (possibilmente a maggioranza serba) in cui il Kosovo sarebbe stato suddiviso, ma la sua richiesta non fu accolta. Il contingente militare internazionale fu, infatti, organizzato in cinque zone controllate da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Italia e Francia. Quando si rese conto che non le sarebbe stata concessa una “sua” zona, Mosca non perse tempo. Reagì con un blitz militare molto rapido (pare fosse stato già preparato il mese precedente in una missione segreta del GRU).

Il Presidente Boris Eltsin d’intesa con il suo delfino – il capo del FSB Vlaidimir Putin (sarà nominato primo ministro in agosto) – decise di ordinare ai suoi generali in Bosnia di spostare in Kosovo i propri paracadutisti per occupare con la forza l’aeroporto di Pristina, il cui controllo doveva invece spettare al contingente britannico. Dopo gli ordini del Cremlino, nella notte tra l’11 e il 12 giugno 1999 la colonna dei paracadutisti russa attraversò il confine tra Bosnia e Kosovo senza che il comando NATO ne fosse stato informato. Prima di attraversare il confine, i veicoli cambiarono la segnaletica da SFOR a KFOR.

La mattina seguente l’aeroporto di Slatina di Pristina in poco tempo è sotto il pieno controllo delle forze armate della Federazione russa, che con i loro mezzi impediscono agli elicotteri britannici di atterrare sulla pista. Per fortuna l’incidente non ebbe conseguenze peggiori. Il merito va ascritto al generale Mike Jackson, che ebbe il coraggio di disubbidire agli ordini del comandante americano di SACEUR, generale Wesley Clark. La vicenda è citata in tutti i manuali di storia militare contemporanea.

Nonostante il successo del suo blitz all’aeroporto di Pristina, la Russia continuerà ad essere emarginata nella presenta militare e civile in Kosovo finché, consapevole della inutilità della presenza militare russa nei Balcani, Putin pianifica per il 2003 il ritiro delle proprie truppe dal Kosovo e dalla Bosnia per concentrare i suoi sforzi in Cecenia.

Mi dispiace che D’Alema fornisca una versione parziale dei fatti per argomentare le sue posizioni attuali sull’invasione della Russia in Ucraina. È innegabile che i militari russi arrivarono per primi in Kosovo, ma se non se ne spiegano le ragioni si rischia di compiere una mistificazione o comunque di sovrastimare una presunta collaborazione tra Russia e NATO che nella realtà concreta non è mai veramente decollata.

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