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Usa Nato

Cosa è cambiato in Afghanistan con l’intervento degli Stati Uniti

L’intervento dell’analista Giuseppe Gagliano   È veramente difficile negare il clamoroso fallimento dell’intervento americano in Afghanistan volto a contrastare la presenza talebana e a stabilizzare l’Afghanistan. Proprio il 15 ottobre il governatore della provincia meridionale di Helmand, Yasin Khan, ha sottolineato l’ampia e capillare presenza di milizie legate sia ad al Qaeda che a organizzazioni…

 

È veramente difficile negare il clamoroso fallimento dell’intervento americano in Afghanistan volto a contrastare la presenza talebana e a stabilizzare l’Afghanistan. Proprio il 15 ottobre il governatore della provincia meridionale di Helmand, Yasin Khan, ha sottolineato l’ampia e capillare presenza di milizie legate sia ad al Qaeda che a organizzazioni pakistane di matrice terroristica quali Jaish-e-Mohammed e Lashkar-e-Taib che danno supporto logistico e militare ai talebani negli scontri quotidiani con le forze governative.

Tutto ciò sta a dimostrare non solo come anche nella provincia di Helmand la situazione sia ormai fuori controllo ma dimostra anche che proprio i miliziani talebani hanno posto in essere un’ampia offensiva contro la capitale e cioè la città di Lashkargah, nonostante il fatto che vi sia stato un intervento aereo da parte americano.

Una situazione analoga si è presentata nella provincia settentrionale di Badakhshan — che è una delle più importanti provincie del nord — dove il governatore provinciale Zakaria Sawda ha sottolineato la gravità della partnership tra i Talebani, Daesh e la presenza di 400 combattenti stranieri la cui azione terroristica si concentra prevalentemente nei distretti di Jurm e Wardooj della provincia afghana del Badakhshan con lo scopo di entrare in Tagikistan e in Cina.

Dal punto di vista geografico il Badakhshan confina infatti con il Pakistan, la Cina e il Tagikistan e costituisce quindi uno snodo cruciale per accedere all’estremo oriente.

Indipendentemente dagli accordi posti in essere dalla attuale amministrazione sia la stabilità dell’Afghanistan sia soprattutto il contrasto al terrorismo non sono stati obiettivi neppure lontanante conseguiti.

La guerra afghana, è opportuno ricordarlo, è durata diciotto anni e ha raggiunto a livello di costi la ragguardevole cifra di 2mila miliardi di dollari secondo il report del Watson Institute della Brown University, costi che risultano vanificati.

In secondo luogo sia la guerra preventiva nel suo complesso che la guerra contro-insurrezionale — nello specifico posta in essere dagli Stati Uniti e in particolare modo dalla Cia — hanno fino a questo momento dimostrato la loro inefficacia operativa.

D’altronde i talebani ironicamente affermano che “gli americani hanno l’orologio ma noi abbiamo il tempo” alludendo da un punto di vista militare al fatto che le azioni terroristiche insieme all’uso della guerriglia – quando hanno un’ampio supporto sociale – sono in grado di logorare nel tempo qualsiasi avversario, come accadde sia con la guerra di Algeria sia con la guerra rivoluzionaria maoista.

Le ampie e documentate analisi di David Galula edite dalla Rand Corporation negli anni sessanta e ampiamente utilizzate per organizzare la contro-insurrezione da parte sia della Cia che delle forze speciali in Afghanistan sono servite a ben poco come dimostra il fallimento della missione affidata da Obama nel 2010 a Petraeus quando fu nominato comandante ISAF. Uno degli errori più frequenti nell’ambito della geopolitica consiste nel muovere guerra ad un popolo senza conoscere il valore che questo dà alla vita umana oppure senza conoscere l’odio radicale che prova verso l’invasore, la sua determinazione e il suo orgoglio. Bisogna infatti essere in grado di interpretare la specificità di un popolo.

Partire al contrario dall’assunto che l’unico concetto valido e perseguibile sia quello di promuovere i valori della cultura occidentale costituisce un errore gravissimo. Come opportunamente e acutamente sottolinea Pedro Banos —colonnello riservista dell’esercito spagnolo ed ex responsabile dell’intelligence degli Eurocorps a Strasburgo — nel suo saggio “Così si controlla il mondo. I meccanismi segreti del potere globale (Bur Rizzoli,2020) in Afghanistan sono presenti una enorme varietà di gruppi etnici. Basti pensare che solo tra i pashtun ci sono 60 tribù diverse e tra queste sono sorte altre 400 sotto tribù. La loro organizzazione politica risponde soltanto al nucleo familiare o al clan ed è caratterizzata da un fortissimo spirito di indipendenza. Inoltre hanno dei codici non scritti profondamente diversi da quelli occidentali che prevedono sì il dovere dell’ospitalità, che prevedono sì di dare asilo e ospitalità al fuggitivo ma prevedono anche la vendetta di fronte a qualsiasi insulto, furto e offesa alla reputazione personale o verso la famiglia. Ebbene quando gli americani e i loro alleati hanno bombardato gli insediamenti pashtun questi hanno agito in conformità dei loro codici: rivalersi contro gli autori di questo gesto fino a che la vendetta non sia stata consumata.

Come ricordava Churchill nel 1897 “le tribù pashtun sono sempre impegnate in guerre private e pubbliche. Ogni famiglia coltiva la propria vendetta e ogni clan la propria faida. Nulla viene mai dimenticato, e pochissimi debiti rimangono non pagati.”

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