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Xinjiang

Come si rafforza la sinergia tra Cina e Turchia

L’analisi di Giuseppe Gagliano Si rafforza la sinergia tra Cina e Turchia. Come avevamo indicato in un articolo precedente la partnership tra il Dragone e la Turchia in funzione anti americana ha trovato modo di consolidarsi durante la recente conversazione telefonica del 14 dicembre tra il Ministro degli Esteri della Cina, Wang Yi, e il…

Si rafforza la sinergia tra Cina e Turchia. Come avevamo indicato in un articolo precedente la partnership tra il Dragone e la Turchia in funzione anti americana ha trovato modo di consolidarsi durante la recente conversazione telefonica del 14 dicembre tra il Ministro degli Esteri della Cina, Wang Yi, e il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, relativa anche all’East Turkestan Islamic Movement (ETIM), considerata un’organizzazione terroristica da Pechino e dall’Onu, ma non dagli Usa.

Al di là delle scontate quanto prevedibili accuse della Cina sulla strumentalizzazione da parte americana del terrorismo — ampiamente documentabile fra l’altro sul piano storico al di là delle dichiarazioni a loro volta strumentali della Cina — merita attenzione la dichiarazione del ministero degli Affari Esteri turco secondo il quale la Turchia sarebbe contraria a qualsiasi forma di terrorismo. Questa dichiarazione merita attenzione non tanto per il valore politico quanto per la falsità rispetto all’uso che proprio Ankara ha fatto — e fa — del terrorismo islamico in Siria e Libia come abbiamo già indicato in un articolo precedente.

Se il terrorismo ha costituito — e costituisce — ancora oggi un oggetto di strumentalizzazione politica e di destabilizzazione politica — come durante la strategia della tensione nel contesto della Guerra non ortodossa — nel contesto dell’uso spregiudicato della Realpolitik rientra anche la drammatica vicenda degli uiguri strumentalizzata dagli Usa.

Se nel 2019, il Parlamento europeo ha presentato una durissima risoluzione su questa violazione dei diritti della minoranza uigura, nel luglio del 2019 gli ambasciatori di 22 nazioni (Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito ma non l’Italia) hanno inviato una lettera al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC) che condannava il trattamento delle minoranze etniche nello Xinjiang da parte del PCC e sollecitava la chiusura dei campi di internamento. A questa ha fatto seguito una lettera firmata da 37 paesi (Arabia Saudita, Nigeria, Egitto, Russia, Corea del Nord, Filippine, Pakistan, Iran, Siria e Palestina) che ha espresso — al contrario — il proprio sostegno alle politiche cinesi in Xinjiang.

Quanto alla Turchia, questa ha assunto un atteggiamento ambiguo: nonostante il partito di Erdogan — l’AkP — e il suo alleato politico cioè il Partito d’Azione nazionalista (MHP) sostengano infatti la posizione cinese, la Turchia non solo ospita diverse comunità uigure ma non pochi uguiri dello Xinjiang hanno trovato asilo politico proprio in Turchia.

In definitiva l’atteggiamento di sostegno implicito — o esplicito — da parte della Turchia come da parte dei paesi islamici nei confronti della questione uigura è il risultato di un semplice calcolo determinato dagli enormi investimenti posti in essere dalla Cina soprattutto nel contesto della Nuova Via delle Seta.

I soldi — ieri come oggi — comprano il silenzio e il consenso politico.

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