Nel contesto della guerra economica tra la Cina e gli Usa acquista un significato particolare l’utilizzazione del diritto come arma di pressione politica.
Dopo l’approvazione da parte del Congresso della legislazione a supporto dei manifestanti di Hong Kong, Trump ha fatto partire una seconda controffensiva di natura giuridica e cioè lo Uighur Act che denuncia le gravi violazioni nel contesto dei diritti umani da parte della Cina in relazione sia alle repressione delle minoranze musulmane uiguri presenti nello Xinjiang sia alle detenzioni illegali nei campi di rieducazione cinesi noti anche come Laogai ideati durante il periodo maoista.
Nello specifico la normativa prevede l’uso di sanzioni contro i funzionari cinesi — tra cui Chen Quanguo, capo del Partito comunista per lo Xinjiang — che hanno avviato azioni di repressione e detenzione illegale delle minoranze uiguri. Particolarmente significativa è stata la posizione di Nancy Pelosi — Presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti — che ha sottolineato l’assoluta necessità di sanzionare e contrastare in tempi rapidi le orribili violazione dei diritti umani che Pechino ha posto in essere nei confronti della minoranza musulmana.
Inoltre la Pelosi ha sottolineato come la sorveglianza capillare e pervasiva che la Cina ha attuato nei confronti della minoranza musulmana — sorveglianza che procede di pari passo al confinamento solitario, ai pestaggi e persino alla sterilizzazione forzata — siano strumenti di fronte ai quali gli Stati Uniti non possono rimanere impassibili o neutrali.
Ebbene al di là delle scontate dichiarazioni da parte di Pechino — il Dragone ha infatti risposto tramite il portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying che gli Stati Uniti stanno non solo compromettendo il contrasto che la Cina ha posto in essere contro il terrorismo ma soprattutto che interferiscono in questioni di natura interna — la vera posta in gioco è ancora una volta la tecnologia cinese: infatti questa normativa una volta firmata da Trump consentirebbe al Dipartimento del Commercio di vietare le esportazioni statunitensi nello Xinjiang con particolare riferimento alle tecnologie di riconoscimento facciale.
In altri termini questa normativa, come quella relativa a Hong Kong, è finalizzata a danneggiare l’economia cinese e quindi la possibilità che la Cina possa in tempi brevi superare l’egemonia economica americana.
Per quanto concerne il rispetto dei diritti umani di cui gli Stati Uniti si fanno portavoce in funzione oggi anticinese — ieri in funzione anticomunista — sarebbe sufficiente ricordare da un lato le denunce poste in essere dal New York Times in merito all’uso della tortura nei confronti del terrorismo islamico e dall’altro lato il report annuale di Amnesty proprio relativo al mancato rispetto da parte americana dei diritti umani.
In ultima analisi ancora una volta non possiamo non sottolineare quanto strumentale sia — e sia stato — l’uso del diritto da parte degli Stati per legittimare la propria politica di potenza.