Il Dragone ha certamente incrementato la sua politica di contenimento nei confronti delle ambizioni autonomiste di Taiwan attraverso il dispiegamento di attività militari nello stretto di Taiwan. Sia sufficiente, a tal proposito, pensare che proprio il 10 agosto aerei appartenenti all’esercito popolare di liberazione di Pechino hanno attraversato, seppure per un brevissimo lasso di tempo, il confine marittimo che separa Taipei da Pechino sito nello stretto di Taiwan. La reazione di Taiwan è stata contigua e proporzionale a quella cinese come dimostra da un lato la visita del sottosegretario per gli affari economici americani Keith Krach il 17 settembre e quella del responsabile dell’intelligence del Comando dell’Indo-Pacifico, l ammiraglio, Michael Studeman, svoltasi il 22 novembre.
Tuttavia l’iniziativa più rilevante — almeno allo stato attuale — di fronte alla volontà politica annessionistica cinese è stata certamente la realizzazione del primo sottomarino prodotto a livello nazionale. La realizzazione del primo sottomarino rientra naturalmente in un programma molto più vasto che prevede la costruzione di otto sottomarini d’attacco. È evidente che lo scopo di Taiwan è finalizzato a attuare una politica militare di deterrenza e dissuasione nei confronti della politica di potenza cinese. Infatti l’uso di sottomarini, nell’ottica della politica militare difensiva di Taiwan, dovrebbe indurre la Cina a evitare un attacco anfibio da parte dell’esercito popolare cinese e soprattutto consentirebbe di controllare lo stretto di Taiwan.
A tale proposito non dobbiamo mai dimenticare che gli Stati quando vogliono difendere i propri interessi — soprattutto in sistema anarchico come quello delle relazioni internazionali e cioè privo di un’autorità centrale — devono ricorrere alla dissuasione che è uno degli strumenti a disposizione degli Stati per influenzare il comportamento di altri paesi. È insomma un modo per esercitare il potere come sottolinea opportunamente Pedro Banos nel saggio “Così si controlla il mondo“ (Rizzoli, 2020). Affinché questo sia possibile è necessario che lo Stato che attua là dissuasione disponga di forze e mezzi capaci e credibili, possa contare cioè su una volontà politica decisa ad impiegare, se fosse necessario, queste capacità belliche ma soprattutto sia in grado di trasmettere all’avversario l’idea che quei mezzi esistono e che la propria classe politica potrebbe decidere di servirsene per salvaguardare il proprio interesse nazionale.
Questa decisione da parte di Taiwan, che rientra in una logica di risposta simmetrica a quella cinese, non deve sorprendere visto che proprio in questi giorni l’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato di Pechino ha confermato la necessità di individuare tutti i sostenitori e promotori della indipendenza di Taiwan allo scopo di poterli perseguire come prevede la legge. A esplicitare questa imperativa necessità politica è stata proprio la portavoce dell’ufficio per gli affari di Taiwan e cioè Zhu Fenglian.
Ma la Cina, come ogni grande nazione che porta avanti obiettivi di natura egemonica a livello globale, agisce su più di uno scacchiere, come dimostra il fatto che proprio il 24 novembre sono stati lanciati quattro moduli spaziali della Chang’e-5 dalla stazione di lancio di Wenchang, ubicata nella costa meridionale della provincia cinese di Hainan, nel Sud della Cina per raggiungere la Luna con lo scopo di raccogliere 2kg di rocce e altri detriti da riportare sulla Terra. Il lancio naturalmente fa parte di un progetto ampio che rientra nel piano a medio e lungo termine nazionale per lo sviluppo scientifico e tecnologico 2006-2020.
Ebbene questo lancio dimostra in modo ormai incontrovertibile che la Cina è in grado di portare in essere programmi molto sofisticati sul piano tecnologico che influenzeranno certamente anche altri paesi che intendono compiere missioni analoghe per esempio su Marte. Sotto il profilo della competizione globale e della politica di proiezione di potenza extra terrestre non c’è dubbio che ormai la Cina si collochi a fianco degli Stati Uniti e della Russia come dimostra d’altronde il fatto che proprio il 23 luglio la Cina ha realizzato la prima missione su Marte con il lancio della sonda Tianwen-1 che esplorerà il pianeta per oltre tre mesi.
Allo scopo di contenere le ambizioni egemoniche di Pechino, gli Stati Uniti stanno ponendo in essere vere proprie strategie di contenimento e accerchiamento del pericoloso competitore cinese: la U.S. International Development Finance Corporation intende investire 2 miliardi di dollari nel fondo sovrano indonesiano -insieme a Singapore, Emirati Arabi Uniti e Giappone- con lo scopo di scoraggiare qualunque iniziativa di avvicinamento tra l’Indonesia e la Cina. Indonesia che in quest’ultimo periodo si è sempre più schierata dalla parte della Cina, come dimostra il fatto che non ha accettato la proposta di Washington di collocare aerei spia con lo scopo di sorvegliare il Mar cinese meridionale.
Ma il Dragone, come è abituato a fare oramai da tempo, risponde con fermezza, coerenza e lucidità alle strategie di contenimento attuate comprensibilmente dagli Usa. Il secolare gioco degli scacchi che si compie sugli oceani, sulla terraferma e sullo spazio tra nazioni per la competizione globale prosegue la sua marcia inesorabile. Vediamo come.
In primo luogo, il presidente cinese Xi Jinping ha sottolineato che la Cina intende valutare la possibilità di aderire al Trans-Pacific Partnership (Tpp) promossa dal Giappone. Lo scopo di una tale iniziativa credo sia sufficientemente evidente: utilizzare la secolare logica del dividi et impera tra gli Stati Uniti e il Giappone, contando proprio sul fatto che il Giappone è stato uno dei principali firmatari della Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep). Vedremo se questa volontà di adesione si realizzerà o se si tratta di una provocazione da parte del presidente cinese.
La seconda mossa posta in essere dalla Cina per allargare e consolidare la sua sfera di influenza è l’appalto di 400 milioni di dollari vinto dalla Metallurgical Corporation of China in Cambogia, per realizzare una nuova ala dell’aeroporto di Phnom Penh. La strategia attuata dalla Cina oramai la conosciamo: investire enormi risorse a livello di infrastrutture allo scopo di attuare la trappola del debito ma anche allo scopo di conseguire la possibilità di collocare infrastrutture militari.
Una strategia, questa, che in linea è simmetrica e speculare a quella perseguita dagli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale e durante la guerra fredda con i suoi alleati per contenere l’URSS.