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Come finirà lo scontro Usa-Iran. L’analisi di Perteghella (Ispi)

"Nessuno dei due Paesi vuole la guerra, lo scenario più probabile è che l’Iran accetterà di tornare al tavolo negoziale per discutere, oltre che del nucleare, anche delle altre cose che stanno a cuore agli Usa, come il programma missilistico. In cambio, però, otterrà il sollevamento delle sanzioni sul petrolio". Conversazione con Annalisa Perteghella, ricercatrice e responsabile del desk Iran all’Ispi di Milano

La campagna di “massima pressione” contro l’Iran dell’amministrazione Trump è andata incontro giovedì scorso al suo momento verità. Nell’arco di poche ore si sono registrati due episodi gravissimi – l’abbattimento di un drone Usa da parte dei Guardiani della Rivoluzione e il successivo ordine di Trump, ritirato all’ultimo minuto, di scatenare la rappresaglia – che hanno rischiato di materializzare l’incubo di uno scontro aperto paventato ormai da tutte le cancellerie.

Per Annalisa Perteghella, ricercatrice e responsabile del desk Iran all’Ispi di Milano, l’aspetto singolare del contrordine di The Donald è la straordinaria somiglianza con il comportamento del suo predecessore Barack Obama. Trump infatti, osserva Perteghella, “si è trattenuto proprio come Obama fece con la Siria quando si trattò di far rispettare la famosa ‘linea rossa’ da lui fissata sull’uso delle armi chimiche nella guerra civile”.

Si tratta, ovviamente, di un paradosso per un leader che “ha criticato a lungo Obama per non essere stato abbastanza audace con l’Iran. E per avere acconsentito ad un accordo, quello sul nucleare, che secondo lui ha solamente contribuito a dare all’Iran i famosi 150 miliardi di dollari che Teheran avrebbe utilizzato per le sue operazioni militari nella regione”.

Richiamare gli aerei già in posizione non è però un imperdonabile segnale di debolezza da parte del gendarme del mondo e, nella fattispecie, di un presidente non noto per essere malleabile? La risposta di Perteghella è no: quella di Trump è stata una esemplare “dimostrazione di saggezza”. È implicita, qui, la critica a quegli esponenti della sua amministrazione, in primis l’uber-falco John Bolton e il suo collega Mike Pompeo, che tifano per la linea dura.

Il problema adesso è capire come Iran e Stati Uniti possano “fare un passo indietro” dopo essersi trovati sull’orlo dell’abisso e dopo aver trasformato lo Stretto di Hormuz in una polveriera. Questo, secondo Perteghella, è un problema soprattutto degli Stati Uniti, che devono “trovare il modo di fare quel passo indietro senza perdere la faccia. E l’unico modo che hanno a disposizione è riprendere il negoziato con l’Iran, magari dietro le quinte”.

Ma come Washington possa innestare la retromarcia, nel momento in cui è nel pieno di una campagna che dispiega i potenti mezzi del Pentagono e quelli non meno micidiali dell’embargo economico, è questione tutt’altro che facile. La ricercatrice Ispi, tuttavia, non dispera. “Il massiccio dispiegamento di forze delle ultime settimane”, osserva, “è stato fatto con l’intenzione non di colpire l’Iran, ma di mostrare i muscoli. Muovere una portaerei o dispiegare più uomini sono misure che si prendono, più che per fare la guerra, per spaventare il nemico”.

Ed è la stessa cosa che sta facendo l’Iran, che – sottolinea l’esperta – “è bravissimo a condurre una guerra asimmetrica, come dimostra l’attacco alle petroliere di due settimane fa e l’abbattimento del drone. Questi però sono tutti segnali di avvertimento, non un preludio alla guerra: l’Iran non vuole certo attirarsi la guerra in casa”.

L’Iran non vuole la guerra con l’America, ma a detta di Perteghella starebbe solo cercando di trasmetterle “una serie di messaggi: non pensate di poterci mettere nell’angolo così facilmente. E poi, non pensate di impedirci di esportare il petrolio, perché se non lo possiamo esportare noi, faremo in modo che nessun altro lo possa fare. Non pensate, infine, di risolvere la questione in modo militare, perché noi siamo intenzionati a difenderci”.

Nemmeno gli Usa, in ogni caso, sembrano voler spingersi fino alle estreme conseguenze. Le sanzioni sul petrolio iraniano, è il loro calcolo, bastano ed avanzano per piegare gli ayatollah. Peccato che, almeno secondo Perteghella, si tratta di “un calcolo che era sbagliato sin dall’inizio. Se il loro obiettivo è costringere l’Iran a negoziare, gli Usa non lo stanno ottenendo, anzi stanno ottenendo l’esatto contrario. L’Iran non negozia sotto pressione. Non lo può anche per motivi che affondano nella storia del Paese, fondato sulla resistenza contro l’imperialismo statunitense”.

Come se ne esce dunque? Secondo Perteghella, in unico modo: “Cancellando le sanzioni. L’Iran chiederà a Trump, se non l’ha già chiesto, di poter tornare ad esportare il proprio petrolio. E Trump dovrà concederglielo, perché si è visto il risultato delle sanzioni: non hanno portato ad altro che al rischio di una guerra”.

Le sanzioni, sottolinea la ricercatrice, “non stanno funzionando. Non dimentichiamo”, spiega, “che sono uno strumento, e non un fine in sé. Sono, nel caso specifico, uno strumento per costringere l’Iran a tornare al tavolo negoziale. E, da questo punto di vista, non stanno funzionando e non possono funzionare. L’Iran ha infatti dimostrato che, prima di cedere, farà pagare tutto quel che può far pagare agli Stati Uniti. Secondo me dunque cederanno prima loro”.

Come possono però gli Usa di Trump fare un passo indietro senza rovinare la propria reputazione? È un problema che non sfugge a Perteghella, convinta che “se Trump domani annunciasse di voler togliere le sanzioni, sarebbe uno smacco enorme”. Dunque? Quale scenario si prospetta?

“Posto”, risponde l’esperta, “che nessuno dei due Paesi vuole la guerra, lo scenario più probabile è che l’Iran accetterà di tornare al tavolo negoziale per discutere, oltre che del nucleare, anche delle altre cose che stanno a cuore agli Usa, come il programma missilistico. In cambio, però, otterrà il sollevamento delle sanzioni sul petrolio. Questo sarebbe un compromesso che permetterebbe ad entrambi i Paesi di salvare la faccia e fermare un’escalation che nessuno vuole”.

Se la prospettiva è questa, quale ruolo può ritagliarsi l’Europa? “L’Europa”, osserva Perteghella, “ha messo in chiaro sin dal principio di non essere d’accordo con la strategia di Trump. Nonostante ciò, non ha potuto far altro che adeguarsi, interrompendo i rapporti economici con Teheran”.

L’Ue però ha anche messo in campo Instex, uno Special Purpose Vehicle che le consentirà di continuare a commerciare con Teheran aggirando le sanzioni americane. “Quello di Instex”, ribatte però la ricercatrice, “è stato soprattutto un messaggio politico, visto che lo strumento non è ancora operativo e che di fatto non servirà a nulla. Potrà infatti essere utilizzato solo per il commercio umanitario, mentre quello che serve all’economia iraniana è vendere petrolio”.

 

(estratto di un articolo pubblicato su policymakermag.it, qui la versione integrale)

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