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Xi

Come e perché la Cina coccola gli affari tra Pakistan e Afghanistan

Le tensioni tra Cina e India lette attraverso la proposte di Pechino di di allargare il corridoio economico tra Cina e Pakistan fino all’Afghanistan. L'approfondimento di Giuseppe Gagliano

Il fatto che Kabul e Islamabad abbiano riavviato gli scambi commerciali non solo ha comprensibilmente suscitato una reazione positiva da parte di Pechino ma il Dragone ha addirittura proposto di allargare il corridoio economico tra Cina e Pakistan fino all’Afghanistan.
In particolare sono stati aperti gli snodi di Torkham e Chaman e quelli con l’Afghanistan e cioè Ghulam Khan, Angor Ada e Dand-e-Patan bloccati a causa del Covid. La reazione di Pechino è determinato dal fatto che l’estensione del corridoio economico Cina-Pakistan-Afghanistan non farà altro che consolidare la Belt and road iniziative. In modo particolare questo comporterà la valorizzazione del porto di Gwadar. ma da cosa è determinata, sotto il profilo squisitamente geopolitico la centralità del porto di Gwadar?
In primo luogo, dal momento che la Cina intende attuare una proiezione di potenza sia nel Mar Cinese meridionale sia, soprattutto, nell’Oceano Indiano, cioè intende attuare una logica di espansione di natura economica e anche di natura militare (leggi infrastrutture militari) nel contesto dell’Indo-Pacifico è logico che il Dragone consideri quella vasta area geografica che passa da Gwadar (Pakistan), Hambantota (Sri Lanka), Chittagong (Bangladesh) e arriva fino a Sittwe (Myanmar) come una propria zona di influenza.
Affinché questo obiettivo venga realizzato, la Cina – anche in funzione di contenimento dell’India – ha posto in essere il corridoio China-Pakistan Economic Corridor (Cpec), corridoio finalizzato a rendere il collegamento tra il Pakistan e la Cina (nel contesto della Nuova Via della Seta) più agevole, grazie alla costruzione di infrastrutture ferroviarie, portuali ed energetiche. Un corridoio che attraversa il Kashmir, oltre al Belucistan e allo Xinjiang.
In secondo luogo, il porto di Gwadar – motivo di forte contrasto tra India e Cina – svolge non solo un ruolo fondamentale all’interno del corridoio sino-pakistano, ma è a tutti gli effetti un’infrastruttura portuale fondamentale per la proiezione di potenza economica cinese, visto che questa infrastruttura portuale le potrebbe consentire di connettersi sia con il Golfo Persico che con il Mar Arabico.
In terzo luogo, questa notizia è estremamente rilevante perché dimostra ancora una volta come la strategia cinese sia di lungo respiro e sia volta, in questo caso specifico, a consolidare i rapporti con l’Afghanistan anche per ragioni di sicurezza e non solo di natura economica. Infatti consolidare i rapporti bilaterali con l’Afghanistan consentirebbe a Pechino di limitare, se non addirittura ostacolare, la presenza dell’integralismo islamico che dall’Afghanistan arriva nello Xinjiang.
In terzo luogo, la stabilità dell’Afghanistan consentirebbe alla Cina di consolidare i progetti infrastrutturali della Nuova Via della seta. Complessivamente la strategia attuata dalla Cina in Afghanistan, come in Pakistan, è profondamente diversa da quella americana, poiché è costruita su un approccio molto più sottile e nel contempo insidioso, basato, per esempio, sulla trappola del debito piuttosto che sull’intervento militare diretto.
In quarto luogo un conditio sine qua non perché tale progetto si consolidi è lo sviluppo della Marina cinese. Non a caso nel giro di breve tempo la marina cinese ha sviluppato sia una progettualità militare difensiva che offensiva, che dovrebbe consentirle non solo di tutelare la difesa costiera ma anche di attuare un’adeguata proiezione di potenza negli oceani sulla falsariga di quanto già attuato dalla marina sovietica. Proprio per questo gli investimenti che la Cina sta attuando nella costruzione di portaerei sta a dimostrare la consapevolezza dell’importanza sempre più rilevante che sta acquisendo il potere marittimo, o “sea power”, nella strategia militare cinese.
Naturalmente il rafforzamento del dispositivo marittimo consente alla Cina di salvaguardare anche le vie di comunicazione marittima sia a livello commerciale che attraversano l’Africa, l’Oceano indiano, lo stretto di Malacca e naturalmente il Mare Cinese Meridionale, in particolare le isole Spratly, ricche di giacimenti petroliferi, sulle quali la Cina nel giugno del 2015 ha costruito una pista d’atterraggio.
In quest’ottica dobbiamo leggere la strategia marittima cinese volta ad avere infrastrutture militari oltremare come quella di Gibuti in Africa, o appunto infrastrutture portuali come quelle di Gwadar in Pakistan, la quale si trova in una posizione strategica a metà strada tra Medio Oriente, l’Asia centrale e l’Asia del sud, e che proprio per questo – come già sottolineato sopra – costituisce lo snodo fondamentale del China-Pakistan Economic Corridor.
In ultima analisi, la strategia della Belt and Road Initiative (Nuova Via della seta) implica da parte cinese un incremento del suo impegno sia nell’Oceano Indiano che nel Pacifico e quindi la modernizzazione della marina militare diventa una condizione fondamentale perché questo ambizioso progetto possa compiersi.
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