Donald Trump non ha dubbi: alle elezioni di novembre, la Cina vuole la vittoria del democratico Joe Biden. Così – spiegava il presidente in un tweet – Pechino potrà “continuare a fregare gli Stati Uniti come ha fatto per decenni, finché non sono arrivato io!”.
https://twitter.com/realdonaldtrump/status/1263282623939477511
LA STRATEGIA ELETTORALE DI TRUMP
Che Trump sia davvero convinto di ciò che dice non è troppo importante. In questa sua seconda campagna elettorale la Cina ricopre infatti lo stesso ruolo “simbolico” che era già stato del Messico nel 2016: il grande nemico esterno che insidia alla grandezza dell’America. La Cina è, secondo Trump, non solo la nazione che tenta di affossare l’economia degli Stati Uniti attraverso pratiche commerciali scorrette, ma anche la responsabile della pandemia di coronavirus (che infatti lui chiama China Virus).
Un nuovo sondaggio di Pew ha mostrato che il 66 per cento degli americani non vede Pechino di buon occhio, e che questa percezione negativa è cresciuta di quasi 20 punti percentuali dall’inizio della presidenza Trump, nel 2017.
La strategia di Donald Trump in vista del voto di novembre, dunque, consiste nel portare all’estremo il livello di scontro retorico e politico con la Cina, in modo da poter accusare il rivale Biden – notoriamente più moderato – di essere troppo morbido. E quindi di non avere a cuore la difesa degli interessi americani.
SE LA CINA VUOLE LA RIELEZIONE DI TRUMP
Ci sono in realtà alcuni aspetti per immaginare il contrario: cioè che il Partito comunista cinese faccia piuttosto il tifo per Trump, e non per Biden. Non è un’ipotesi campata per aria, secondo alcuni osservatori.
Per capire perché è necessario fare una breve premessa. La Cina punta, nel lungo periodo, a sostituirsi agli Stati Uniti nel ruolo di superpotenza egemone a livello globale. La sfida cinese al primato americano passa per l’economia, per la supremazia tecnologica (l’intelligenza artificiale e il 5G), per il controllo dei “nodi” commerciali (è uno degli obiettivi della Nuova via della seta), per il dominio militare e marittimo (la contesa è iniziata nel Mar cinese meridionale).
Pechino vuole insomma dare alla globalizzazione un volto diverso da quello plasmato da Washington; vuole rifondare l’ordine mondiale secondo caratteristiche proprie. Lo stesso ordine mondiale verso il quale Trump ha mostrato più volte una certa insofferenza: non ama i tavoli multilaterali, porta avanti una politica iper-protezionista e mette pressione agli alleati perché badino da soli alla difesa.
LE CONSEGUENZE DELL’“AMERICA FIRST”
La dottrina America First punta a ridurre le spese dell’impegno americano all’estero per investire quelle risorse in patria. Un concetto non esclusivo di questa amministrazione ma già parzialmente presente in Obama, e al quale anche Biden potrebbe riallacciarsi. Tuttavia, l’aggressività con cui Trump ha portato avanti la sua politica ha dato agli alleati l’impressione che gli Stati Uniti non siano più una potenza responsabile e affidabile.
Così, ad ogni passo indietro compiuto da Trump sullo scenario internazionale, la Cina ne ha approfittato per guadagnare terreno – soprattutto in Asia – e per presentarsi al mondo come la nuova guardiana della cooperazione internazionale. Un secondo mandato Trump darebbe al Partito comunista altri quattro anni per rafforzare questa narrazione e per conquistare ulteriori spazi, anche all’interno del sistema multilaterale.
IL COMMENTO DI NOCI (POLIMI)
Del fatto che Pechino veda con favore la rielezione di Trump è convinto Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano. Nel corso di un dibattito online sullo scontro America-Cina organizzato dall’associazione AWOS – A World of Sanctions, Noci ha dichiarato che “i cinesi gradirebbero molto una riconferma di Trump, perché Trump è impreparato e divisivo. Divide anche l’Europa, e un’Europa divisa è un boccone più agevole per la Cina”.
“Il cambio di presidenza recherebbe un dispiacere ai cinesi. Biden non cambierebbe atteggiamento sulla Cina”, ha spiegato Noci, “ma avrebbe un atteggiamento più inclusivo rispetto all’Europa”. Che oggi, sostiene il prorettore, è come “un vaso di coccio tra due vasi di ferro”: stretta, cioè, tra gli interessi americani e quelli cinesi, mentre cerca di elaborare una strategia indipendente per non farsi schiacciare dall’una o dall’altra parte.
Secondo Noci, una prova della preferenza di Pechino per Trump starebbe nel rispetto della tregua commerciale firmata lo scorso gennaio. Il patto prevede che la Cina acquisti prodotti americani per 200 miliardi di dollari in cambio dell’eliminazione di alcune sanzioni. “La Cina”, ha articolato Noci, “sta cercando di sostenere l’accordo con l’acquisto di soia e cereali proprio perché ha interesse a sostenere Trump”. L’impegno cinese è infatti molto significativo per Trump perché gli permette di esibire un risultato di fronte agli agricoltori americani, un segmento elettorale di grande importanza che è stato colpito duramente dalla trade war.
COSA HA FATTO TRUMP CONTRO LA CINA
A metà 2018 Trump ha lanciato una guerra commerciale contro la Cina, fatta di dazi reciproci, con l’obiettivo di riequilibrare la bilancia degli scambi tra le due nazioni, che in realtà sono importanti partner.
Ma il più grande successo “anticinese” della sua amministrazione è stato un altro: riuscire cioè a convincere un nutrito gruppo di nazioni alleate – l’ultima il Regno Unito – a vietare l’utilizzo di tecnologie Huawei nelle nuove reti 5G. In questo modo, Washington si è assicurata il contenimento, almeno parziale, della penetrazione tecnologica cinese.
L’impressione, tuttavia, è che Trump veda nella Cina più un avversario economico che un avversario “ideologico”.
Nonostante il recente annuncio del segretario di stato Mike Pompeo, in questi anni la Casa Bianca non è riuscita a costruire una coalizione globale anticinese. Al contrario, fin dall’abbandono della TPP ha alimentato – soprattutto in Asia-Pacifico – la convinzione che degli Stati Uniti sia meglio non fidarsi troppo.
LA POLITICA ESTERA SECONDO BIDEN
Le tendenze geopolitiche non cambiano quasi mai con il cambiare dei presidenti. Anche in questo caso, qualora Biden dovesse succedere a Trump, il confronto con la Cina non si farà meno intenso nella sostanza.
Quello che Biden potrebbe fare, però, è ristabilire una politica estera “tradizionale” che riporti l’America al suo ruolo di guida della comunità internazionale e di difensore del sistema multilaterale. Sono intenti che l’ex-vicepresidente ha peraltro già espresso, sia in un articolo sulla rivista Foreign Affairs, sia dichiarando di voler far rientrare gli Stati Uniti nell’Organizzazione mondiale della sanità.
Americans are safer when America is engaged in strengthening global health. On my first day as President, I will rejoin the @WHO and restore our leadership on the world stage. https://t.co/8uazVIgPZB
— Joe Biden (@JoeBiden) July 7, 2020
Su Foreign Affairs Biden scrive così: “Se continuiamo [gli Stati Uniti, ndr] ad abdicare alla nostra responsabilità, allora accadrà una di queste due cose: o qualcun altro prenderà il posto degli Stati Uniti, ma senza portare avanti i nostri interessi e i nostri valori, oppure non lo farà nessuno e ne conseguirà il caos”.
Un ritorno dell’America nel mondo, anche se non nelle forme viste in passato, non è nell’interesse della Cina. Biden lo promette, e questo lo rende un avversario meno desiderabile rispetto a Trump.