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Giorgetti

Chi spinge per il bis di Mattarella al Quirinale?

Fatti, numeri e indiscrezioni sulla partita del Quirinale. I Graffi di Damato

 

Tutti dunque aspettiamo di vedere e di sentire stasera, fra cotechini e lenticchie, se e come Sergio Mattarella dal Quirinale illuminato a festa si accomiaterà dagli italiani a poco di un mese dalla conclusione del suo mandato. Lo farà all’inizio, o alla fine, o fra le righe del messaggio televisivo a reti unificate, con lo stesso “inciso” di qualcuno dei discorsi delle ultime settimane agli ospiti di turno ricevuti sul Colle per i rituali scambi di auguri natalizi? Staremo, ripeto, a vedere e a sentire.

Nel riconoscere al presidente uscente della Repubblica, dalle colonne del Corriere della Sera, il merito di avere saputo conquistare “il cuore e la ragione” degli italiani con una gestione accorta e al tempo stesso incisiva delle sue prerogative costituzionali, il sia pure ex segretario del Pd Walter Veltroni ha confessato di avere ”personalmente preferito che l’accoppiata Mattarella Draghi accompagnasse il Paese verso la conclusione della legislatura”. Cioè, che “l’elezione del nuovo capo dello Stato avvenisse al momento giusto, nel nuovo parlamento che la legge di riforma costituzionale, confermata dal referendum, ha varato”.

E’ musica, questa, alle orecchie di chi come il sottoscritto, anche a costo di sembrare a qualche costituzionalista un villano che rutta a tavola, sta scrivendo da mesi che questo Parlamento, con la maiuscola che gli spetta in ogni caso, è stato sostanzialmente delegittimato da quanti hanno voluto e concorso a cambiarne la stessa dimensione. Ed è perciò diventato il meno adatto ad eleggere un presidente della Repubblica destinato a durare sino al 2030. Al massimo, esso potrebbe decentemente rieleggere quello uscente per consentirgli la staffetta col prescelto dalle prossime Camere, fra poco più di un anno. Ma questa, ripeto, per i costituzionalisti in parrucca e per i politici prigionieri dei loro maneggi, non è musica. Sarebbe solo una stonatura volgare nel concerto di fine anno.

Eppure c’è ancora qualcuno che, non rassegnato come sembra Veltroni, peraltro entrato e uscito rapidamente a sua insaputa dalla corsa al Quirinale raccontata dai giornali con abbondanza di fantasia, è ostinato a coltivare in Parlamento un Mattarella bis, a tenerlo acceso come un cerino. Il Foglio e in qualche modo anche Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, raccontano proprio oggi di una cinquantina fra deputati e senatori decisi a votare per il presidente uscente sin dalla prima votazione, fregandosene dei giochi e giochetti sui quali stanno trattando dietro le solite quinte gli altrettanto soliti vertici di partiti e di correnti. Vedremo. Non c’è che da aspettare, con pazienza.

Sarebbe tuttavia opportuno che non si abusasse di questa pazienza per prospettare scenari che non esistono o per negare l’evidenza, come ha fatto il segretario del Pd Enrico Letta, per esempio, dicendo ieri  -in una intervista a Repubblica, oggi ancora compiaciuta – che “il 2022 non può essere un anno elettorale”, quale diventerebbe se fosse eletto un presidente della Repubblica non del tutto gradito -immagino – al suo partito.

Purtroppo per Enrico Letta e per tutti gli italiani il 2022 in arrivo è già un anno elettorale. E ciò a causa sia delle prove amministrative programmate nella prossima primavera, con i soliti riflessi sulla politica nazionale, sia del posizionamento dei partiti su tutti i temi e problemi che ci affliggono in funzione delle elezioni politiche ordinarie, cioè obbligate, del 2023. A meno che non si voglia dichiarare la guerra a San Marino pur di prolungare questa legislatura già fatta invecchiare precocemente, come accennavo, dai promotori -grillini e alleati di turno- della riforma costituzionale che ha fortemente ridotto i seggi della Camera e del Senato. E ciò per non parlare anche delle elezioni locali e dei sondaggi che hanno sconvolto i rapporti di forza usciti dalle urne del 2018.

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