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Turchia Armi

Chi è in guerra (e chi non è in guerra) con la Turchia di Erdogan

Mosse e obiettivi della Turchia di Erdogan fra amici e nemici. L'analisi di Giuseppe Gagliano

 

Il presidente turco Tayyip Erdogan ha presenziato ad una parata militare per la vittoria azera nel recente conflitto del Nagorno-Karabakh in occasione della quale ha recitato una poesia azero-iraniana sulla divisione del territorio dell’Azerbaigian tra Russia e Iran nel XIX secolo nella quale non solo viene legittimata la separazione delle regioni azere dal resto dell’Azerbaigian ma viene anche legittimata la proiezione di potenza turca in questa regione in funzione anti-iraniana.

La reazione di Teheran è stata immediata, dura e inequivocabile. Da un lato infatti l’Iran ha informato l’ambasciatore turco che l’era delle rivendicazioni territoriali e degli imperi espansionistici è ormai giunta a conclusione ma ha anche sottolineato che l’Iran non consente — e non consentirà — a nessuna nazione di immischiarsi nella sua integrità territoriale. Qual è il significato geopolitico di una provocazione propagandistica di questa natura da parte della Turchia? Sul ruolo della Turchia nel recente conflitto si è già discusso su Start in questo articolo.

Tuttavia l’attenzione deve essere rivolta non solo a sottolineare come questa provocazione di natura squisitamente ideologica serva al presidente turco per ribadire ancora una volta che il proprio paese intende giocare un ruolo importante nella ricostruzione delle aree occupate dall’Azerbaigian — come in Libia, nel Mediterraneo orientale e in Siria aggiungiamo noi — ma soprattutto a evidenziare il ruolo sempre più importante che l’uso della propaganda aggressiva di Erdogan sta giocando nel legittimare il suo consenso politico interno e a giustificare la sua politica di proiezione di potenza.

A tale proposito è utile approfondire questo aspetto in relazione alla contrapposizione tra Erdogan e Macron. Al di là del confronto geopolitico nello spazio geografico, c’è il confronto ideologico e religioso tra la Turchia e la Francia. È essenzialmente su questo registro che si attua la retorica del presidente Erdogan contro la Francia. La Francia sostiene la libertà di espressione e un secolarismo che separa rigorosamente la religione dallo Stato. Al contrario, il presidente Erdogan sostiene l’Islam politico contro il secolarismo turco “kemalista” che controlla la religione attraverso lo Stato.

Il presidente turco è abituato a rilasciare dichiarazioni scioccanti che prendono di mira personalmente i leader politici. Pur non essendo certo l’unico leader ad agire in tal modo per galvanizzare il suo elettorato la strategia comunicativa del presidente turco consiste in un discorso manicheo. Il discorso di Erdogan si costruisce infatti su una logica dicotomico: la lotta del bene contro il male, Macron contro Erdogan, l’Occidente contro l’Oriente, i musulmani contro i crociati. Nella retorica del presidente Erdogan, la Turchia è carica di valori positivi e la Francia e l’Occidente di valori negativi. Basti pensare al passato coloniale europeo e, in particolare, a quello francese in Africa. Lo scopo dei ripetuti discorsi contro la Francia è quello di screditare l’autorità costituita, metterla in discussione agli occhi dell’opinione pubblica, indebolirla per creare o rafforzare le proteste già esistenti presso la comunità musulmana al fine di alimentare il discredito. È una serie di umilianti insulti personali che sminuiscono il presidente francese, simbolo dell’autorità repubblicana. Così il presidente Erdogan connota la sua controparte francese come “arrogante”, “ambizioso ed incapace”, mettendo persino in dubbio la salute mentale del presidente Macron.

Infine, un altro scopo della tecnica propagandistica di Erdogan è quello di isolare l’avversario accusandolo — tutt’altro che velatamente — di essere un razzista e di fomentare il razzismo contro l’Islam come infatti il presidente turco in un discorso televisivo del 26 ottobre ha fatto invitando i leader europei a cercare di porre fine ai progetti anti islamici portati avanti dal presidente francese.
L’obiettivo è ovviamente molto chiaro: il sostegno dato alla Francia da parte dei leader europei sarebbe visto come complicità e connivenza della campagna anti-islamica portata avanti dalla Francia.

Con estrema abilità il presidente Erdogan ha utilizzato — e sta utilizzando — i valori della cultura laica occidentale e cioè quelli della libertà e della giustizia contro il presidente francese per dimostrare il suo atteggiamento anti-islamico.

Tuttavia non è certo arduo dimostrare le contraddizioni nelle quali cade la narrazione propagandistica del presidente Erdogan.

La Turchia tace sulla persecuzione degli uiguri in Cina, che è una popolazione musulmana di lingua turca. Il presidente Erdogan ha anche firmato con la Cina un accordo nel 2017 per estradare gli oppositori uiguri in Cina.

Un’altra contraddizione è l’emarginazione delle minoranze religiose (cristiane, aleviste) ed etniche (curde e armene) sul suo territorio. Per non parlare del genocidio armeno, che attraverso continue e costanti pressioni di natura diplomatica, la Turchia sta cercando di imporne la negazione a livello internazionale.

Per realizzare la sua strategia propagandistica il presidente turco si serve soprattutto di Al-Jazeera e dei principali canali televisivi turchi come TRT. In poche ore il messaggio viene diffuso e raggiunge una dimensione internazionale creando le premesse per la campagna di boicottaggio antifrancese attiva anche su Twitter.

Nello specifico una delle principali società di distribuzione alimentare del Kuwait (Al-Naeem Cooperative Society) è stata tra le prime a lanciare questa campagna di boicottaggio. Alla quale hanno fatto seguito i boicottaggi in Qatar, Kuwait, Giordania, Pakistan e Bangladesh. Ma anche l’utilizzo di fake news e disinformazione da parte della Turchia è fortemente veicolata dai social network. Basti pensare alla diffusione di false informazioni ufficiali come quella del 26 ottobre nella quale il presidente Erdogan ha affermato che la Francia avrebbe promosso il boicottaggio dei prodotti turchi.

Un altro strumento certamente assai efficace del quale si è servito il presidente turco, e di cui si servirà certamente ancora, è la diaspora turca in Europa. La presenza turca è stimata sui 5,5 milioni, di cui 1,5-2 milioni in Germania e circa 700.000 in Francia.

Per influenzare la sua diaspora in Francia, si dice che la Turchia abbia circa 150 iman distaccati in Francia sotto il controllo della DITIB, Unione degli affari religiosi turco-islamici strettamente dipendenti dallo Stato turco. Anche il ruolo esercitato da Ahmet Ogras rappresentante dell’Islam turco in Francia (Comitato di coordinamento dei musulmani turchi in Francia CCMTF) fino al 2019 ha svolto un ruolo di grande rilievo nel diffondere la propaganda turca.

A tale proposito c’è da tenere presente che religione e istruzione sono due strumenti fondamentali della stessa strategia di influenza dello Stato turco, che cerca così di controllare e strumentalizzare la sua diaspora. La modalità di diffusione è lenta, calcolata sul lungo termine. Tuttavia, assumendo il controllo di moschee e associazioni religiose, creando scuole l’influenza turca volta a difendere un Islam politico si sta diffondendo ampiamente non solo in Francia ma anche in Germania.

Piaccia o meno, la presenza musulmana in Germania e in Europa costituisce per il presidente turco una vera e propria quinta colonna per destabilizzare sul piano politico le istituzioni laiche favorendo la sua politica antioccidentale e i suoi interessi nel Mediterraneo orientale. Un esempio eclatante è costituito certamente dal ramo francese dei “Lupi Grigi”, movimento ultranazionalista fedele al presidente Erdogan, che sta facendo pressione sulla comunità armena attraverso l’uso della intimidazione.

Sul piano internazionale la propaganda posta in essere dal presidente turco ha certamente visto il Kuwait e il Pakistan in prima fila per difendere gli interessi politici di Erdogan. Non sorprende tuttavia — visti gli interessi ormai conflittuali tra due paesi sul piano geopolitico — che gli EAU abbiano sostenuto addirittura il presidente francese.

La stampa americana invece, come il Financial Times e il New York Times, è stata invece particolarmente criticata dal presidente francese a causa delle sue copertine che condannano il sistema sociale francese più degli attacchi stessi, facendo così il gioco di Erdogan.

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