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Nagorno-Karabakh, come si schierano Turchia, Israele e Russia tra Azerbaijan e Armenia

L'analisi di Giuseppe Gagliano sul ruolo ricoperto da Turchia, Israele, Iran e Russia nel conflitto tra Azerbaijan e Armenia sul Nagorno-Karabakh

 

Nel conflitto tra l’Azerbaijan e il Nagorno-Karabakh, Baku è stata incoraggiata a scatenare le attuali ostilità dal suo alleato turco, che fornisce un considerevole supporto militare alle sue operazioni offensive.

Infatti, da quando Erdogan è salito alla presidenza (2014), la Turchia ha cercato di riallacciarsi alla sua “grandezza perduta” e al suo passato ottomano. La reislamizzazione, il nazionalismo e il pan-Turkismo sono stati quindi ampiamente incoraggiati da Erdogan, che ha intrapreso — come più volte abbiamo sottolineato su queste pagine — una politica di proiezione di potenza in Siria, in Libia e dal 2020 nel Mediterraneo orientale, contro Grecia e Cipro.

Dunque non è un caso che in un contesto di elevata conflittualità, allo stato attuale la Turchia sia l’unica nazione a non chiedere un cessate il fuoco tra i belligeranti ma al contrario sottolinei l’assoluta necessità di sostenere l’Azerbaijan, che incoraggia a riprendersi “le sue terre occupate”. Proprio Yunus Kilic, membro del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), ha detto pochi giorni fa che i recenti attacchi dell’Armenia non stanno solo prendendo di mira l’Azerbaijan ma il mondo turco nel suo insieme.

Agendo secondo una linea di politica estera espansionistica spregiudicata il governo turco non ha esitato a mobilitare — contemporaneamente all’invio di caccia, consiglieri militari e membri della sua compagnia militare privata (SADAT) — diverse centinaia jihadisti radicali che aveva precedentemente impiegato contro il regime di Bashar El-Assad in Siria e in Libia e contro le forze del maresciallo Haftar.

Così, Erdogan ancora una volta, strumentalizza i jihadisti a proprio vantaggio, trasformando il confronto politico-militare in una guerra religiosa. Questi combattenti islamisti sono arrivati dalla Libia, trasportati su aerei di linea turchi, nonostante le smentite di Ankara e Baku. Il loro trasferimento è iniziato prima della metà di settembre, confermando che l’Arzerbaijan stava preparando un’operazione militare contro il Nagorno-Karabakh da diverse settimane. Per il momento, il loro numero è stimato tra alcune centinaia e mille. Di estrema rilevanza, infine, l’uso da parte turca di droni e F-16.

Ebbene, il sostegno da parte della Turchia deve anche essere letto come l’ennesimo tentativo da parte di Erdogan di consolidare il suo sostegno politico interno.

Un altro aspetto da sottolineare è l’uso ampio e sistematico della guerra dell’informazione tipico di tutti i conflitti. Non a caso il presidente Ilham Aliev ha ripetutamente affermato che il suo esercito sta rispondendo solo all’aggressione armena. Ma questa affermazione è pura disinformazione. Come Erdogan, anche lui infatti da tempo nutre odio e risentimento contro gli armeni. Non a caso ha posto una sola condizione per la conclusione delle attività belliche e cioè il ritiro completo, incondizionato delle Forze Armate dell’Armenia.

Non è certo un caso che il presidente azerbaigiano abbia ringraziato la sua controparte turca per il sostegno all’Azerbaijan di fronte agli “attacchi” armeni.

Inoltre la propaganda turco-azera non esita ad affermare che prima di lanciare i suoi attacchi contro gli insediamenti civili in Azerbaijan, l’Armenia avrebbe stretto un accordo con l’organizzazione terroristica separatista PKK/YPG.

Nell’ambito dell’accordo raggiunto a luglio, quasi 300 terroristi del PKK/YPG sono stati inviati in Armenia e Karabakh. I membri dell’organizzazione terroristica avrebbero formato milizie armene nel Nagorno-Karabakh e sarebbero state utilizzate principalmente negli attacchi contro i civili.

A parte il sostegno turco anche Israele svolge un ruolo rilevante visto che si serve dell’Azerbaijan come base per le sue missioni di Intelligence in funzione anti iraniana. Non solo: Tel Aviv ha stabilito un importante partenariato energetico e non ha mai riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno del 1915, a causa della sua partnership con Ankara.

Quanto all’Armenia questa beneficia sia degli aiuti della Russia (alludiamo ai Sukhoi Su-30SM per esempio) che ha una base a Gumri, dove vi sono 3.000 soldati e che è dotata di missili antiaerei S-300 e la base area di Erebuni dove vi sono 18 Mig -29 che probabilmente da parte dell’Iran, che da un lato è diffidente nei confronti di un Azerbaijan che potrebbe esercitare un’attrazione sulle proprie popolazioni azere e dall’altro lato cerca di contrastare la crescente influenza turca e israeliana.

Non è un mistero infatti che l’Iran abbia preso atto con preoccupazione del fatto che gli azeri abbiano comprato molte armi da Israele, come il nuovo missile balistico della IAI, il LORA da 300 km di gittata.

Nessuno di questi attori può tollerare che il candidato che sostiene perda la partita.

Proprio per questa ragione alcuni analisti hanno sottolineato, con legittima preoccupazione, che un intervento militare turco diretto potrebbe amplificare in modo esponenziale il conflitto.

Non a caso il 29 settembre, il comandante in capo delle guardie di frontiera iraniane, il generale Ghassem Rezaei, ha messo in guardia in modo molto chiaro Yerevan e Baku contro qualsiasi propagazione degli scontri nel territorio iraniano.

Che si tratti di una grave crisi dalle implicazioni imprevedibili ciò dovrebbe essere ovvio anche se tutto ciò non è percepito con sufficiente chiarezza da parte dei paesi europei ai quali bisognerebbe ricordare, per esempio, che gli azeri hanno svolto un ruolo importante nel genocidio del 1915 e che si sono poi impegnati in una vera e propria pulizia etnica nel Nakichevan nel 1918.

In seconda battuta l’importanza di questo conflitto è ancora una volta legata alla politica espansionistica turca che non solo intende realizzare un progetto pan-turkmeno con l’Azerbaijan, ma intende mettere in sicurezza il Karabakh e il corridoio strategico di Zangezur.

Ma al di là dei progetti espansionistici turchi, prendendo atto della grave crisi della lira turca e degli elevati tassi di disoccupazione — parliamo di un tasso del 13% e di una bilancia commerciale con l’estero che è in deficit di quasi 2 miliardi di dollari —  credo sia lecito domandarsi se la Turchia possa effettivamente muoversi con efficacia e con successo su scacchiere così lontane e diverse.

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