I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità non sono particolarmente utili per valutare la reale situazione e la reale pericolosità del Coronavirus, ma possono essere di spunto per un’importante riflessione.
Tabella presa da Time Magazine: oltre 42mila casi e oltre 1.000 morti. Poi ci sono quasi 4.000 guariti. Ma se sottraiamo a 42.000 prima 1.000 e poi 4.000 rimangono ancora in ballo 37.000 pazienti. Dove sono finiti?
Sono in ospedale e stanno combattendo con la malattia.
Questo è un problema per fare i conti precisi con questo virus. Tra il momento del contagio e il momento dei primi sintomi passano sei giorni.
Quindi, i casi che vediamo oggi sono il risultato dei contagi di sei giorni fa. Poi la gente si ammala e va all’ospedale. In seguito alcuni si aggravano e finiscono in rianimazione. Dopo molti giorni dal momento del ricovero i pazienti guariscono (per fortuna in gran parte) o non ce la fanno e muoiono.
Ma la morte o la guarigione possono avvenire a un mese dal contagio. Noi paragoniamo questi dati di mortalità (e di guarigione) ai contagi che avvengono oggi, ma in realtà dovremmo usarli con i dati di un mese fa.
Tutto questo rende molto complicato in questo momento valutare gravità e letalità di quest’infezione. Una cosa è certa: un’epidemia sarebbe in grado di mettere in ginocchio anche il sistema sanitario più efficiente del mondo. Faremmo bene a pensarci ora, per essere pronti nel malaugurato caso in cui la Cina non riuscisse a contenere l’infezione, e non ci riuscissimo neanche noi attraverso l’isolamento di chi da quelle parti proviene.
(Articolo pubblicato su Medical Facts, qui la versione integrale)