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Yemen

Che cosa insegna all’Arabia Saudita la guerra in Yemen

L'analisi di Giuseppe Gagliano

 

Come ormai è storicamente acquisito il conflitto in Yemen è iniziato il 19 marzo 2015, quando i cosiddetti i ribelli Houthi hanno posto in essere un’offensiva per ampliare la loro proiezione di potenza nelle province meridionali yemenite.

In estrema sintesi i due fronti che si contrappongono sono da un lato i ribelli sciiti Houthi che controllano la capitale Sana’a — alleati con le forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh e supportati militarmente dall’Iran e dalle milizie di Hezbollah — e, dall’altro lato, vi sono le forze fedeli al presidente yemenita, Rabbo Mansour Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti, dal Marocco, dall’Egitto, dal Sudan, dalla Giordania, dal Kuwait, dal Bahrain, dal Qatar e sotto traccia dagli Usa.

Le novità più rilevanti del conflitto attuale sono relative al rilascio di 700 prigionieri yemeniti e di 400 ostaggi filo-governativi legati ai ribelli sciiti come previsto dall’Accordo di Stoccolma del 13 dicembre 2018 in base al quale i ribelli sciiti Houthi avevano accettato di ritirarsi da tutti e tre i porti principali dello Yemen. Cioè da Hodeidah, Saleef e Ras Isa, operazione questa coordinata dall’Onu e dalla Croce rossa internazionale.

Proprio per questo da un lato l’ambasciatore saudita in Yemen e cioè Muhammad bin Saeed al-Jaber ha espresso la speranza che gli accordi siano rispettati fino in fondo e dall’altro lato il portavoce delle forze della coalizione saudita, il colonnello Turki Al-Maliki, ha sottolineato che sono stati rilasciati 15 prigionieri sauditi.

Questo conflitto indipendentemente dagli accordi stipulati e dalla momentanea tregua consente di trarre almeno una lezione di grande rilevanza sotto il profilo strettamente strategico.

Quando nel 2015 l’Arabia Saudita decise di porre in essere la sua offensiva partì dall’assunto che lo squilibrio dal punto di vista militare con le forze ribelli fosse tale che l’Arabia Saudita avrebbe conseguito una vittoria rapida con perdite minime. Colui che espresse una tale convinzione nel marzo del 2015 fu il ministro saudita della Difesa Mohammad bin Salman Al Sa’ud che dichiarò che questa guerra sarebbe stata rapida e semplice. Proprio partendo da questa convinzione il 26 marzo il figlio di re Salman attuò una vasta e articolata coalizione che, dal suo punto di vista, sarebbe stata in grado di schiacciare i ribelli nel giro di pochi giorni.

Era difficile all’inizio di questo conflitto immaginare che questa operazione — denominata Decisive Storm — non ottenesse il successo sperato.

Ma come insegna la storia militare spesso la realtà è infinitamente più complessa e imprevedibile delle nostre previsioni e dei nostri auspici soprattutto quando si sottovalutano gli avversari. Si sottovaluta cioè la loro tenacia e la loro capacità di fronteggiare le guerre convenzionali attraverso la guerriglia e l’azione terroristica.

Dal punto di vista storico infatti fra il 1962 e il 1970 scoppiò la guerra civile nello Yemen del Nord nella quale fu coinvolto l’Egitto che appoggiò Abdullah al -Sallal che attraverso un colpo di Stato voleva deporre il re legittimo Abdullah al-Badr. Nonostante l’Egitto — allora governato da Nasser — avesse fatto ricorso a quasi 70.000 soldati, fu sconfitto e fu costretto a ritirare le sue truppe trasformando lo Yemen nel Vietnam dell’Egitto.

La guerra in Yemen — come d’altra parte la guerra del Vietnam e dell’Afghanistan — è un ottimo esempio di un conflitto fra Davide e Golia in cui Davide ha dimostrato di essere molto più abile e molto più pericoloso del gigante Golia.

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