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Draghi Quirinale

Che cosa chiedono gli Usa a Draghi

Pro e contro sull'atlantismo di Draghi: ora gli Usa delegano all'Italia il ruolo di ago della bilancia nell'Ue che era di Londra. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

L’incontro a Roma tra Mario Draghi e il nuovo cancelliere Olaf Scholz ha spinto non pochi analisti a previsioni che vanno oltre le solite parole di circostanza che i capi di governo si scambiano dopo i colloqui riservati. Previsioni non prive di fantasia, che è bene prendere con le molle. C’è chi, illudendosi a mio avviso, già intravede un triangolo Berlino-Parigi-Roma prendere il posto dell’asse franco-tedesco. C’è chi sostiene, a supporto di tale previsione, l’ipotesi a breve di un trattato Roma-Berlino, simile al Trattato del Quirinale con la Francia, cosa di cui in Germania non si è mai sentito parlare, trattandosi di pura fantasia italica. E c’è chi, più terra terra, auspica un gioco di sponda tra Draghi ed Emmanuel Macron per convincere Scholz a fare da mediatore con i paesi del Nord Europa per concordare una riforma del patto di stabilità Ue che mandi in archivio la decennale e fallimentare politica di austerità. Una riforma, questa sì necessaria, che introduca nuovi criteri per le finanze statali dei paesi Ue, tali da essere compatibili con il Green Deal europeo, che richiederà ingenti investimenti pubblici e privati, possibili soltanto con una forte ripresa economica.

Con tutta evidenza, sono tutte ipotesi. L’unico dato certo, in ciascuna di esse, è che l’Italia potrà stare in partita, a livello europeo, soltanto con Draghi al timone del governo. Lo dicono, in Europa, i media più autorevoli. E, anche se non lo dicono apertamente, lo pensano anche a Washington, dove fanno grande affidamento sull’atlantismo di Draghi. Ma cos’è l’atlantismo? Di norma, un politico è definito atlantista quando se ne vuole sottolineare la fedeltà alla Nato, l’alleanza militare delle nazioni atlantiche opposte, in origine, al blocco della Russia sovietica, e oggi alla Russia di Vladimir Putin. Una fedeltà che, da 70 anni, va di pari passo con l’amicizia con gli Stati Uniti, che della Nato sono stati il promotore e ne sono oggi il primo finanziatore e fornitore di soldati e armi. Nel caso di Draghi, però, l’atlantismo indica qualcosa di più, che ne caratterizza il vero profilo politico, e ne completa il ritratto di banchiere prestato alla politica.

Alcuni aspetti del Draghi atlantista, pro e contro, sono al centro di un breve saggio sul sito Eurasia («Geopolitica del Draghismo»), firmato da Daniela Perra, master presso l’Alta scuola di economia e relazioni internazionali dell’Università cattolica di Milano. Quello che ne viene fuori è il ritratto di un premier di totale fiducia dell’amministrazione Joe Biden nel gioco di potere che gli Usa stanno conducendo, a livello geopolitico, all’interno dell’Europa da un lato, e contro Cina e Russia dall’altro. «Il ruolo di Draghi come agente degli interessi atlantisti in Europa è di lunga data», scrive Perra. «Quando era alla guida della Bce, il suo compito fu quello di contrastare la potenza della più grande banca centrale europea, la Bundesbank. L’obiettivo, neanche troppo velato, era di porre un freno al problema del surplus commerciale tedesco, che costituiva un fattore indesiderato nel progetto di affermazione egemonica americana sull’Europa».

Più avanti: «In questa operazione di controllo della Germania, sia in termini di eccessivo potere all’interno dell’Europa che in termini di aspirazioni alla costruzione di un rapporto privilegiato con la Russia, deve essere inserito anche il recente Trattato del Quirinale tra Francia e Italia, sotto la supervisione del segretario di Stato Usa, Antony Blinken. A questo proposito, è bene sottolineare il fatto che il ruolo di ago della bilancia tra Germania e Francia era stato riservato storicamente alla Gran Bretagna. Oggi, dopo la Brexit, si è voluto attribuire questo compito all’Italia di Mario Draghi, che, assieme alla Francia, eserciterà anche un ruolo di controllo all’interno del Mediterraneo, per fare in modo che l’egemone reale (gli Stati Uniti; ndr) possa concentrare i propri sforzi nel contenimento della Cina».

Da qui, le mosse anti-Cina di Draghi: «Non sorprende che, dal momento del suo insediamento, il governo Draghi, spinto anche dal ministro ultra-atlantista della Lega, Giancarlo Giorgetti, abbia utilizzato lo strumento del golden power ben tre volte per evitare l’acquisizione da parte di gruppi cinesi di aziende italiane, che operano in specifici settori. L’ultimo caso è quello della Zhejiang Jingsheng Materials, alla quale è stato impedito di acquistare il ramo italiano di Applied Materials, nel settore dei semiconduttori. Sempre nel settore dei microchip, aveva impedito in marzo l’acquisizione del 70% di Lpe da parte del gruppo Shenzen Invenland Holding, mentre in ottobre il golden power è stato esercitato per impedire al colosso agrochimico Syngenta di assumere la guida del gruppo alimentare romagnolo Verisem».

A fronte delle mosse anti-Cina, il saggio sostiene, con tono critico, che «il governo italiano non ha palesato nessuna preoccupazione di fronte al tentativo di acquisizione di Tim da parte del fondo nordamericano KKR. Così come non vi è stato nessun particolare sussulto di orgoglio nel momento in cui Fincantieri, fermata da un patto anglo-australiano che ha fatto da apripista al più celebre (e allargato agli Usa) Aukus, ha perso una commessa di 23 miliardi per la fornitura di fregate Fremm alla Royal Australian Navy». Infine, per rimarcare l’atlantismo di Draghi anche di fronte alla pandemia, il saggio di Perra, senza citare il nome del generale Francesco Paolo Figliuolo, ricorda che «la stessa gestione della campagna vaccinale in Italia è stata affidata ad un pluridecorato generale della Nato, decorato fra altro con Legion of Merit degli Stati Uniti d’America». Una critica velata, ma sbagliata. In questo caso, viva l’atlantismo: rispetto alla gestione disastrosa di Domenico Arcuri, il salto di qualità, in termini di vite salvate, è sotto gli occhi di tutti.

 

Articolo pubblicato su italiaoggi

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