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Rete Tim

Tim, ecco cosa dicono i sindacati su rete, Kkr, Vivendi e Infratel

Le prospettive di Tim viste dai sindacati. I sindacati dicono il loro no alle ipotesi di scorporo di Tim. In un comunicato dai toni molto accorati i sindacati delle tlc – Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil – mettono nero su bianco la loro contrarietà a ogni ipotesi di smembramento della compagnia telefonica Tim.…

I sindacati dicono il loro no alle ipotesi di scorporo di Tim. In un comunicato dai toni molto accorati i sindacati delle tlc – Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil – mettono nero su bianco la loro contrarietà a ogni ipotesi di smembramento della compagnia telefonica Tim. “Le anticipazioni di stampa di queste ore e gli ordini di servizio aziendali pubblicate in queste ore non presagire nulla di positivo. Si sta profilando, ben lieti di essere smentiti, una soluzione che ci troverebbe assolutamente contrari, ovvero qualcosa che assomiglia allo smembramento di Tim per come l’abbiamo conosciuto sino ad oggi – si legge nella nota -. Una soluzione folle, in totale controtendenza con quanto avvenuto in Europa”.

L’ipotesi di scorporo di Tim

Sul piatto ci sarebbe l’ipotesi di una separazione tra il settore commerciale di Tim e la parte infrastrutturale, vero asset dell’azienda. “Se si scorpora la rete Tim, si lascia la parte commerciale e dei servizi completamente sola – dice a Startmag Vito Vitale, segretario della Fistel-Cisl -. Invece Tim è nata condividendo rete, infrastruttura e servizi. Senza rete non avremmo una struttura commerciale in grado di autosostenersi”.

Il passo indietro di Vivendi e le reazioni dei sindacati in Tim

Vivendi, con il 23,8% del capitale, è il primo azionista del gruppo presieduto da Salvatore Rossi e guidato ora dal direttore generale Pietro Labriola. Nei giorni scorsi, come riportato da Repubblica, un portavoce del gruppo francese ha comunicato la volontà del colosso di fare un passo indietro dall’infrastruttura di rete, asset principale di Tim, considerata strategica dal governo. Così, se Tim decidesse di portare avanti un piano di separazione dei servizi dall’infrastruttura, Vivendi non solo non si opporrebbe, ma sarebbe pronta a partecipare in minoranza, prospettiva a cui finora si era mostrata contraria. “Il piano di Vivendi non ci piace perché non sono molto sinceri, non daranno un piano industriale a lungo termine, sono un po’ improvvisati. Il settore delle Tlc può essere una leva che Vivendi userà per entrare in altri settori del mercato italiano, può essere terreno di scambio perché questo settore, soprattutto Tim, è un campione nazionale che non deve essere distrutto per opportunità di mercato. Se qualcuno vuole entrare nel sistema dei media e della comunicazione può entrare direttamente in quelle aziende senza usare come moneta di scambio un’azienda come Tim”.

A rischio più di 70mila posti di lavoro

I sindacati nel loro comunicato lamentano una certa opacità delle operazioni che potrebbero danneggiare il perimetro occupazionale.  “Abbiamo circa 38mila lavoratori all’interno di Tim e altre 41mila unità circa corrispondono all’indotto – aggiunge il segretario della Fistel-Cisl -. Quindi i problemi occupazionali sono sia in Tim che nel settore appalti di rete, call center e informatica”.

La questione dei “bandi parziali”

I sindacati nella loro nota si dicono preoccupati per il futuro di un settore strategico per il nostro Paese. “Stanno evidentemente arrivando al pettine i nodi che denunciamo da anni – recita la nota – a parlare di un’ipotetica società a controllo pubblico della rete ed intanto ‘governativamente’ si procede con i bandi parziali con i quali si regalano soldi ed infrastrutture ai privati senza aver neanche la garanzia di raggiungere gli obiettivi tecnologici e di benessere sociale ed economico del Paese”. I bandi parziali ai quali si riferisce il comunicato sono quelli del “Piano Italia 1 giga, ovvero il piano per portare la banda ultraveloce su tutto il territorio nazionale, in osservanza del principio di universalità. Il bando prevede il gap founding, ovvero l’azienda risultante vincitrice dell’appalto diviene proprietaria della rete.e non più solo concessionaria come prima. Tuttavia non in tutto il territorio c’è convenienza economica a investire per gli operatori privati. In quelle aree individuate come poco profittevoli interviene lo Stato con il Piano 1 Giga, che potrà essere finanziato con i fondi del PNRR, ma le reti resteranno di proprietà dell’operatore che si è aggiudicato il bando. “Si guarda il mercato e non l’efficienza – continua il segretario della Fistel-Cisl – . Quando si danno soldi a pioggia a piccole imprese non si fa altro che foraggiare una controparte economica che non ha come obiettivo quello di mettere a disposizione del paese una rete digitale in grado di sostenere tutto quello che deve passare sul digitale. È come regalare soldi e non costruire un apparato solido che poi servirà a tutta la struttura dei servizi, dalla sanità, alla scuola, agli enti pubblici”.

Le preoccupazioni per la creazione di occupazione a termine

I bandi parziali sono gestiti da Infratel, società in-house del Ministero dello Sviluppo Economico, creata per gestire la rete in fibra. “I sindacati sono contrari alle aziende che non creano buona occupazione. Quando si creò Open Fiber vennero create nuove aziende che diedero lavoro a circa 9mila lavoratori per fare scavi, mettere cavi. Fu creata occupazione che non aveva continuità di skills che invece il digitale dovrebbe avere – dice ancora il segretario Vito Vitale -. Quindi si crea un’occupazione provvisoria senza dare continuità formativa. Sarebbe meglio investire in competenze da far crescere al passo del mondo del digitale”. Dunque i sindacati sono preoccupati dalle aziende create ad hoc per concorrere ai bandi parziali. “Vi sarebbero aziende più strutturate che potrebbero concorrere come Silte, Nokia, Ericksson, Solution Trend che hanno una visione di futuro – continua il segretario della Fistel-Cisl -. Il problema è che i fornitori tendono a scaricare sul costo del lavoro i cali di fatturato”.

La duplicazione della rete

“C’è un problema di doppia rete che nel 2016 era iniziato con Open Fiber – conclude Vitale -. È come se avessimo due autostrade, una costruita con soldi di Stato, perché Open Fiber nacque con capitali di Cdp e Enel, e l’altra è Tim che è un’azienda privata che continua a mettere fibra sul territorio. Queste due strade dovrebbero trovare una convergenza anche perché Cdp è anche all’Interno di Tim oltre che di Open Fiber. Il Governo deve decidere dove mettere i suoi soldi perché non può appoggiare entrambe e poi metterle in concorrenza”.

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