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Algeria Cina

Che cosa cambia per Italia ed Eni con le novità politiche in Algeria

Ci sono due variabili dopo la vittoria di Tebboune in Algeria: una è il popolo algerino (continueranno le proteste?), l’altra è l’economia. Lo stato di salute dell’economia si sta degradando e punteranno sull'energia. Il ruolo dell'Eni. L'analisi di Marinone del Cesi

Nove giorni fa gli algerini sono stati chiamati alle urne per scegliere il nuovo presidente dopo quasi un anno intero di alta tensione nelle piazze che lo scorso aprile avevano spinto il capo dell’esercito Salah a “dimissionare” l’ottuagenario Abdelaziz Bouteflika e a porre fine a un regime durato la bellezza di due decenni.

Dire però che la transizione iniziata con la caduta dell’ex uomo forte di Algeri sia finita con la vittoria del candidato Abdelmadjid Tebboune sarebbe alquanto imprudente. Questo è quanto suggerisce Lorenzo Marinone, responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Centro Studi Internazionali (Cesi) presieduto da Andrea Margelletti, che in questa conversazione con Start Magazine elenca e spiega i motivi per cui l’Algeria rimarrà per lungo tempo in fibrillazione, non ultimo per via di un cambiamento politico di pura facciata che ha portato al vertice del potere un esponente di spicco del vecchio regime e, pare, mantenuti inalterati i vecchi equilibri di potere.

Una beffa, insomma, per una piazza che per quaranta settimane ogni venerdì ha occupato le strade per chiedere un ricambio completo della classe dirigente e la fine del cosiddetto Pouvoir, la triade del potere algerino che per decenni ha visto esercito, partiti politici e servizi segreti manovrare i fili occulti del Paese sopra la testa della gente. Un Pouvoir che viene invece traghettato indenne nel dopo-Bouteflika, lasciando intravedere all’orizzonte più di qualche guaio per una nazione che tra l’altro, come sottolinea Marinone, ha diverse gatta da pelare sul quanto mai delicato versante dell’economia e punterà sull’energia: “L’Algeria ha tutto l’interesse a recuperare i partner europei. Questo significa che le compagnie di vari paesi europei, tra cui la nostra Eni, saranno le prime ad essere consultate per promuovere il rilancio del comparto energetico algerino”.

L’Algeria ha un nuovo presidente, che però ha vinto elezioni che molti algerini hanno considerato una farsa. Perché?

Le elezioni nascevano anzitutto dall’esigenza di dare una legittimità alla fase di transizione aperta dalla deposizione di Bouteflika e, quindi, restituire piena funzionalità alle istituzioni algerine. Ricordo peraltro che erano state già rimandate una prima volta, perché si dovevano tenere a luglio. Sono state spostate a dicembre per volontà del capo dell’esercito Ahmed Gaid Salah, che è il regista occulto di questa fase di transizione. Ebbene, a giudicare da quello che è successo il giorno delle elezioni, che hanno visto un movimento di boicottaggio popolare senza precedenti, è accaduto l’esatto contrario di quel che sperava il capo dell’esercito, perché queste elezioni hanno tolto ogni legittimità a chi è stato eletto.

In che senso?

Le richieste della piazza erano molto diverse. Più che elezioni, gli algerini volevano una piattaforma di riforme da varare prima di andare a votare, con l’obiettivo ad esempio di mettere mano alla costituzione. In secondo luogo, una richiesta perentoria della piazza era la non candidabilità di tutte quelle figure di spicco che negli ultimi decenni sono stati vicine all’ex presidente Bouteflika. Invece, non solo ci sono state le elezioni, ma tutti i cinque sfidanti alla presidenza sono stati ministri o collaboratori strettissimi di Bouteflika. Il risultato del voto, pertanto, è andato in direzione del tutto contraria alla volontà dei manifestanti.

Quella di nove giorni fa è stata, per dirla con una boutade, una transizione dalla Prima Repubblica alla Prima Repubblica?

Assolutamente sì. Non c’è alcun tipo di discontinuità. Abdelmadjid Tebboune, il nuovo presidente, è stato per decenni una figura di primissimo piano della politica algerina. Lui è, per dirla in breve, uno dei volti del Pouvoir che la gente voleva togliere di mezzo. A dirla tutta, Tebbuone faceva parte della schiera di oppositori a Bouteflika, nel senso che era parte di una corrente rivale a quella dell’ex presidente. Anche in Algeria, del resto, sussisteva l’esigenza di bilanciare il peso delle varie correnti, anche se sempre con l’obiettivo di inseguire il potere, e non certo di fare una vera e propria opposizione.

Il generale Salah può insomma dirsi soddisfatto di questa presunta transizione.

Chiunque dei cinque candidati in lizza avrebbe servito l’unico scopo che perseguiva Salah, ossia ripristinare al più presto una parvenza di legittimità democratica al Paese. Questo perché da quando si è dimesso Bouteflika lo scorso aprile, non era più la politica a guidare il Paese, ma si è dovuto esporre chi veramente tiene le redini del potere da dietro le quinte, ossia l’esercito, e dunque Salah. Le forze armate hanno sempre avuto una posizione egemone nelle geometrie del Pouvoir, di cui costituiva uno dei tre poli – gli altri due sono i principali partiti e i servizi segreti. Questi ultimi nell’ultimo mandato di Bouteflika sono stati in realtà molto depotenziati, quindi da una triarchia si era passati ad una diarchia. Ebbene, quando è venuto meno Bouteflika, è successo che il re si è trovato nudo. Salah, cioè, si è dovuto esporre in prima persona. Questo ha fatto sì che la piazza si mobilitasse immediatamente per chiedere un ricambio totale della classe dirigente, che comprendesse non solo i politici ma anche i quadri dell’esercito e in particolare la persona di Salah. Per lui, ovviamente, questo significava un rischio enorme, perché in qualunque momento poteva formarsi una fronda interna all’esercito con l’obiettivo di farlo fuori. Questo è il motivo per cui Salah aveva bisogno di ripristinare quanto prima la normalità, o almeno una parvenza di essa, e alla fine gli algerini sono stati chiamati a votare.

E gli algerini ora la digeriranno o no questa manovra di palazzo da manuale?

Ci sono due variabili in gioco da cui dipende cosa succederà ora: una è il popolo algerino, l’altra è l’economia. Gli algerini sono assolutamente un’incognita perché hanno dimostrato in questi mesi di non voler assolutamente abbandonare le loro richieste. Infatti sono tornati in piazza numerosi come prima. È da quaranta settimane che ogni venerdì in Algeria si tengono manifestazioni, ed è evidente che sia la politica che l’esercito non possono tollerare che questa situazione vada avanti troppo a lungo anche se le manifestazioni rimanessero pacifiche come sono state fino ad ora. Non si può escludere, pertanto, una repressione da parte dello Stato, né che a quel punto una parte dei manifestanti scelga di utilizzare metodi violenti. Poi c’è il secondo fattore che è l’economia.

Che, per inciso, è stata una delle maggiori preoccupazioni di Salah.

Esatto. Salah ha fatto una corsa contro il tempo per avere delle elezioni e un nuovo presidente. Il problema è che non ha affatto guadagnato tempo. La clessidra si sta svuotando molto rapidamente e contiene, fuori di metafora, uno stato di salute dell’economia che si sta degradando ad una velocità impressionante. Un dato che fa capire molto bene quanto poco tempo resti a disposizione dell’Algeria prima del collasso riguarda le riserve di valuta estera. Un Paese che si regge per il 60% del suo Pil grazie alla vendita degli idrocarburi utilizza i relativi proventi per accumulare riserve di valuta pregiata, che servono per le importazioni e per dare stabilità al quadro economico. Ebbene, queste riserve si stanno assottigliando al ritmo di venti miliardi l’anno. Questo significa che al 1 gennaio 2020 il Paese avrà in cassa qualcosa come cinquanta miliardi. Pertanto nel giro di due anni, se non si inverte questa rotta, lo Stato algerino non sarà più in grado di importare le merci di cui ha bisogno, e stiamo parlando anche di generi di prima necessità come gli alimenti. In tali circostanze, è molto probabile che la piazza si infiammi nuovamente. A quel punto però non si tratterebbe più di una contestazione del sistema politico e di una richiesta di cambiamento, perché la gente chiederebbe il pane. E se questa è una cosa che abbiamo visto andare in scena più volte nel mondo arabo, dove ci sono state varie rivolte del pane, quel che potrebbe verificarsi in Algeria  sarebbe senza precedenti. Scongiurare tutto ciò è dunque la priorità n. 1 della politica algerina e ovviamente dell’esercito.

Sembrano insomma annunciarsi tempi cupi per l’Algeria.

Se mi concede una metafora, le direi che il popolo algerino è su una piccola barca a vela in mezzo all’oceano in tempesta e con Caronte come skipper. Fuori di metafora, la situazione è decisamente grave ed è molto difficile che la gente possa accettare il ripetersi dei vecchi schemi del passato. Dopo di che, c’è da dire che il Pouvoir algerino dispone degli strumenti per tenere sotto controllo la situazione. Fu d’altronde in grado di sopravvivere a dieci anni di ferocissima guerra civile. Questo la piazza lo sa molto bene e anche per questo è pacifica.

Insomma, questo vecchio-nuovo establishment come tenterà di sopravvivere a tali e tante difficoltà all’orizzonte?

Ci dobbiamo senz’altro attendere dei cambiamenti in campo economico e segnatamente su quello energetico. Lo Stato algerino ha assoluta necessità di avere investimenti, e il settore più promettente da questo punto di vista è quello energetico, che del resto è quello su cui il Paese dispone di maggiori strutture, tecnologie, e prospettive di sfruttamento. Il nuovo governo si è già messo al lavoro per cercare nuovi bacini di idrocarburi nel Paese. Questo significa molto probabilmente che ci sarà un’ondata di deregulation che aprirà nuove fette di mercato, le quali troveranno a loro volta in pole position le maggiori compagnie occidentali.

L’Italia ha qualche chance di trarne dei benefici?

Le abbiamo per un motivo molto semplice: l’Algeria ha un problema di competizione con lo shale gas americano, la cui importazione in Europa toglie delle quote all’export algerino. L’Algeria ha dunque tutto l’interesse a recuperare i partner europei. Questo significa che le compagnie di vari paesi europei, tra cui la nostra Eni, saranno le prime ad essere consultate per promuovere il rilancio del comparto energetico algerino.

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