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Salvini

Cosa succede nel centrodestra e nel centrosinistra

Fatti, parole e tensioni nel centrodestra e nel centrosinistra. La nota di Paola Sacchi

 

Forse più che una riedizione della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto che imbarcò tutto nel 1994 nel vano tentativo di sbarrare la strada alla discesa in campo di Silvio Berlusconi – presentato come l’alieno, il “Cavaliere nero” -, questa potrebbe essere chiamata la “noiosa macchina da guerra”. Che ripete sempre lo stesso schema contro il centrodestra: paventare sfracelli in caso di vittoria degli avversari, delegittimati alla stregua di nemici da battere, in quanto pericolose “destre”, e quindi presentarsi come “protezione civile” (come disse Enrico Letta) a difesa della stabilità.

Una narrazione che però a trent’anni quasi di distanza appare ormai logora. Con un centrodestra che governa la maggioranza delle Regioni, dove questi sfracelli non si registrano. D’improvviso Berlusconi, accarezzato dai media mainstream quando si ipotizzava, invano, di disarticolare il centrodestra, staccando Forza Italia in maggioranze “Ursula” all’italiana, non è più centro ma solo destra, nonostante sia il maggiore partito italiano del Ppe, di cui il numero due del Cav, Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo, è vicepresidente.

La Lega, partito post-ideologico, federalista, espressione essa stessa del centro in carne e ossa, non secondo schemi politichesi di Palazzo, dei ceti medi imprenditoriali, oltre che di quegli operai che l’hanno preferita al Pd, è rappresentata lo stesso come pericolosa destra.

E la destra di Giorgia Meloni, secondo i sondaggi primo partito della coalizione, diventa in questa narrazione la più pericolosa di tutte, nonostante la presidente di Fratelli d’Italia sia presidente dei Conservatori e Riformisti europei, oltre che ex ministro e in origine leader “ragazzina” di Azione giovani di An che aveva già fatto la svolta e non solo a parole. Ma l’orologio della storia in Italia sembra spesso tornare indietro.

E così la sinistra vagheggiando un fronte ampio e contraddittorio, tipo Unione o meglio disunione di prodiana memoria, tenta di tenere insieme ancora una volta tutto e il contrario di tutto pur di sbarrare la strada alle “destre”, da Fratoianni (Sinistra Italiana) a Roberto Speranza (ministro di Leu) a possibilmente i fuoriusciti di Forza Italia, i ministri Renato Brunetta e Maria Stella Gelmini, in avvicinamento a Azione di Carlo Calenda. Un guazzabuglio, vagheggiato dal leader del Pd Enrico Letta, cui Calenda si è avvicinato, ma Matteo Renzi sembra essersi un po’ allontanato, annunciando che potrebbe correre anche da solo, ponendo secchi no a “Cinque Stelle” e “sovranisti”. Forse in questo caos a sinistra le parole del leader di Iv sono suonate come le più chiare di tutte. Renzi, pur dicendo di non augurarsi Giorgia Meloni premier, afferma però pure che se accadrà lui ne prenderà atto, accettando il responso elettorale.

Ma se questo è il panorama di quel che resta del “campo largo”, ex obiettivo del Pd con la naufragata alleanza “strategica” con i pentastellati (epicentro della caduta del Governo Draghi), forti fibrillazioni scuotono pure, come a cascata, il centrodestra.

Meloni, alla vigilia del vertice di centrodestra di domani a Montecitorio, lancia un avvertimento secco agli alleati: accordo sulla premiership, secondo le regole di sempre (il partito con più voti indicherà il premier, ndr), o non si governa. La leader di FdI, con il vento in poppa nei sondaggi, al Tg5 spiega: “Non avrebbe senso andare a governare insieme” senza un accordo sulle regole che comprenda il metodo di suddivisione dei collegi uninominali e le modalità di indicazione del candidato premier. Meloni aggiunge poi di “confidare che si vorranno confermare, anche per ragioni di tempo, regole che nel centrodestra hanno sempre funzionato” e che il suo partito ha “sempre rispettato e non si capisce per quale ragione dovrebbero cambiare oggi”. Tradotto: suddivisione dei collegi in base ai sondaggi e regola che il partito che prende più voti indica il presidente del Consiglio, in caso di vittoria alle elezioni.

Matteo Salvini, leader della Lega, chiede agli alleati di “lasciare alla sinistra le liti e le divisioni”. E ribadisce: “Chi avrà un voto in più, avrà l’onore e l’onere di indicare il premier”. Mentre Forza Italia, con Berlusconi e il suo numero due Antonio Tajani, ha sostenuto che il tema della premiership va affrontato dopo il voto. Dopo gli addii dei ministri Gelmini, Brunetta e Carfagna, ieri due parlamentari, Annalisa Baroni e Giusy Versace, e un assessore lombardo, Alessandro Mattinzoli, hanno seguito Gelmini.

In questo clima di tensione, Berlusconi, presidente di FI, fondatore del centrodestra, ex quattro volte premier, ha detto nelle tante interviste di questi giorni: “Quello che dobbiamo definire ora non è un nome, è un progetto comune da proporre agli italiani, credibile in Europa e nel mondo. Poi, alla fine del percorso, ragioneremo insieme sul nome più appropriato da proporre al presidente Mattarella come nuovo presidente del Consiglio”. Il tema della premiership “non mi appassiona”, ha detto Berlusconi oggi al Corriere della sera, e ha aggiunto: “Giorgia Meloni sarebbe un premier autorevole, con credenziali democratiche ineccepibili, di un governo credibile in Europa e leale con l’Occidente. Allo stesso modo lo sarebbero Matteo Salvini, o un esponente di Forza Italia”.

Salvini a Rtl conferma che “chi prende un voto in più governa”, ma sostiene anche lui che “lo decideranno gli italiani con il voto”. Mentre FdI chiede che si fissi già da ora il candidato.

Da Forza Italia, intanto, parte una dura reazione nei confronti del comportamento dei ministri fuoriusciti. È la giovane deputata azzurra Maria Tripodi, capogruppo di FI alla commissione Difesa di Montecitorio, a reagire, senza peli sulla lingua, in un post su Facebook, dove in sostanza accusa i ministri di agire da tempo in “avvicinamento sulla sinistra”. Afferma Tripodi: “Un bel tacer non fu mai scritto. Ma davanti agli attacchi quotidiani mossi, per motivare tradimenti occorre invece scrivere, e anche tanto per spiegare bene a chi legge, ascolta, s’interroga e documenta sull’attuale situazione politica e partitica”. FI “è stata bersaglio di una vergognosa campagna di disinformazione da chi occupa in sua rappresentanza, posti apicali nel governo. Una campagna violenta e totalmente falsa che da militante ultraventennale e parlamentare, considero un insulto all’intelligenza dei nostri elettori”. “Gelmini e Brunetta – aggiunge la deputata – ci imputano di esserci appiattiti ‘alla solita logica salviniana’. Un leitmotiv falso e pretestuoso evidenziato ad ogni piè sospinto dall’inizio della legislatura, con lo scopo di spingere Forza Italia fuori dal perimetro del Centrodestra”. “Accusano Forza Italia cioè Silvio Berlusconi – prosegue – di irresponsabilità per aver provocato la fine del Governo Draghi. Altra colossale bugia. È stata l’intuizione del nostro leader a far nascere il Governo Draghi, e i suoi parlamentari gli hanno votato con convinzione la fiducia ben 55 volte”. E ancora Tripodi sui ministri fuoriusciti: “Asseriscono con vittimismo: ‘Non siamo noi ad essere andati via da Forza Italia, ma Forza Italia ad essere andata via da noi'”. Chiude Tripodi: “E no cari ministri, diciamo la verità agli italiani: lo spirito di appartenenza a Forza Italia lo avevate smarrito da tempo. Evidentemente a causa di orizzonti sinistri. Occultandolo nelle interviste, con riunioni correntizie che hanno generato divisioni, e storcendo il naso sulla linea dettata dal Presidente Berlusconi che per inciso ha sempre posto al centro la nostra identità: liberale, europeista, cattolica, garantista, atlantista”.

E qui torna per intero il nodo di un governo nato come esecutivo di emergenza nazionale, cui tutti furono chiamati a contribuire, ma che poi è parso pericolosamente scivolare in un piano inclinato verso il Pd e la sinistra. Con un atteggiamento del Pd quasi assolutorio verso Giuseppe Conte, il capo di quei Cinque Stelle che negando la fiducia hanno scatenato la crisi. Ma che il Pd fino all’ultimo avrebbe tentato di recuperare “come in un governo Conte ter, ma a guida Draghi”, parole non di un esponente di centrodestra, ma di Matteo Renzi.

Chiosa Stefania Craxi, senatrice FI, presidente della commissione Esteri: “È in atto da parte della sinistra e del suo circolo mediatico una campagna di terrorismo psicologico volta a prospettare chissà quali disastri in caso di vittoria del centrodestra. Tranquilli, non succederà niente”.

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