skip to Main Content

Governo Fisco Natalità Giorgetti

Ce l’abbiamo fatta a imparare a mettere il casco, possiamo farcela anche con l’uso del bancomat

All'inizio siamo stati ostili all'uso del casco e della cintura, ma anche all'introduzione del divieto di fumo nei locali pubblici, poi abbiamo capito che cambiare abitudini era nell’interesse nostro e della collettività. Perché non farlo anche con il nostro rapporto con il contante? Il Taccuino di Guiglia

 

In principio fu il casco. Correva l’anno 1986 e il Paese di Machiavelli trovava da ridire sul nuovo obbligo di metterlo in testa per andare in motorino. “Lo Stato comprime la mia libertà”, protestavano quanti, tanti, erano abituati a offrire i capelli al vento. Ma l’esperienza ha presto dimostrato che il casco non era una camicia di forza stretta al cervello, bensì un modo per salvare le vite, specie dei più giovani. Per avere meno persone ferite e con disabilità. Anche per diminuire i costi sanitari dovuti agli incidenti.

Da allora è raro vedere motociclisti senza casco in giro per l’Italia: abbiamo semplicemente cambiato abitudine nell’interesse nostro e della collettività.

Correva l’anno 1988 e la Nazione della Ferrari si ribellava al nuovo obbligo di mettere tutti la cintura di sicurezza in macchina prima di partire in quarta col sogno di sorpassare l’intruso della corsia accanto. “Lo Stato attenta alle mie capacità al volante”, contestavano coloro che, anche a ragione, si sentivano all’altezza di guidare con competenza e prudenza. Ma l’esperienza ha presto confermato che la cintura non era una catena per imprigionare il pilota da Formula 1 che era in noi, bensì un modo, ancora una volta, per tutelare la vita in caso di incidenti. Da allora è molto difficile scoprire conducenti o passeggeri senza cintura in auto. E, se lo scopriamo, ci stupisce. Abbiamo semplicemente cambiato abitudine nell’interesse nostro e degli altri.

Correva l’anno 2003 e l’Italia col suo stile del piacere, della vita dolce e della bellezza, dunque una grande Italia, s’infuriava di fronte al nuovo obbligo che vietava di fumare in tutti i locali pubblici, a cominciare dai ristoranti. “Lo Stato s’intromette in una mia scelta privata”, reagivano i fumatori e quanti, da liberali, difendevano quel punto di vista pur non condividendolo. Ma l’esperienza ha presto insegnato che, preservare la società dal fumo, fa bene non solo agli altri, com’è doveroso, ma persino a chi non riesce a rinunciare al vizio della sigaretta (o del sigaro o della pipa). Abbiamo semplicemente cambiato abitudine: rispetto all’epoca dei nostri padri e dei film in bianco e nero con gli attori dalla perenne sigaretta in bocca, alla Humphrey Bogart, oggi si fuma sempre meno. Nell’interesse di tutti, come la medicina ha da tempo spiegato in modo incontrovertibile.

Il casco, la cintura di sicurezza e il divieto di fumo aiutano a capire che la forza dell’abitudine non è per sempre: l’abitudine può cambiare a seconda del tempo, delle circostanze, degli atti innovativi delle istituzioni.

Sulla stessa scia di decisioni legislative all’apparenza molto discutibili, ma che in prospettiva si rivelano molto ragionevoli, ecco la polemica sul contante. Abitudine anch’essa radicata dalla notte dei tempi e che male si fa a offendere: chi paga prendendo gli euro dal proprio portafoglio, non è più stupido né meno onesto di chi fa “pin” con la carta di credito (o col telefonino). Qui non ci sono due Italie l’una contro l’altra armata di denaro, che non è lo sterco del demonio, ma il frutto della fatica, dell’impegno, del talento. Qui è in ballo solo un po’ di buonsenso: stabilire quale sia la strada più indicata e sicura per tutti per pagare un servizio o un acquisto.

Il mondo, si sa, va sempre più verso il digitale e sempre meno sul “cash”. Non è detto che il mondo abbia ragione a prescindere. Ma se del mondo vogliamo far parte, posto che da esso non possiamo scendere, disincentivare con intelligenza e con gradualità l’uso del contante è una buona direzione di marcia.

“Lo Stato non mi può dire come pagare il cappuccino e il cornetto al bar”, ammonisce chi, come il ministro Matteo Salvini, vorrebbe allargare la possibilità di ricorrere ai soldi in contanti ora prospettata dal governo.

Ma, in realtà, il punto non è fare accademia su quale sia la soglia giusta (60 o di meno?) sotto la quale debba scattare la sanzione per il commerciante o il taxista che non assicuri il pagamento elettronico. Neppure ha senso dibattere sul limite “ideale” per poter usare i contanti: in Germania non c’è, in Francia è di 1.000 euro, in Grecia di 500. Tant’è che il Consiglio dell’Unione europea ha dovuto da poco introdurre il tetto comunitario invalicabile di 10 mila per tutti. Sotto il quale ogni Paese potrà fare come vuole: perché scandalizzarsi, allora, se in Italia il governo pensa o ripensa a un modello tutto suo?

L’importante, però, è il segnale che con le soglie e i limiti lo Stato, attraverso il governo e il Parlamento, intenda dare ai suoi cittadini.

Se il popolo di Machiavelli, della Ferrari e del buon vivere si è abituato al casco, alla cintura di sicurezza e ai divieti di fumo, non sarà poi così complicato, per i nipotini di Pico della Mirandola, umanista dalla straordinaria memoria, ricordare e applicare un “pin” al momento di pagare il conto. Nell’interesse della sicurezza e della correttezza nostra e altrui, gente che non ha niente da nascondere, né da dover spiegare.

Ma per il cappuccino ci lascino pure ascoltare ancora il tintinnio delle monete.

(Pubblicato sul quotidiano Alto Adige)

www.federicoguiglia.com

Back To Top