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Amato

Ustica e il complotto delle carte che non ci sono

C'è un meccanismo complottista che da 43 anni alimenta il mistero di Ustica: ogniqualvolta la realtà smentisce la teoria e la demonizzazione di chi negli archivi legge quello che c’è davvero, subentra la retorica del depistaggio. Il commento di Gregory Alegi, storico e giornalista, docente alla Luiss

Tanto tuonò che non piovve. È questo che penso mentre mi dirigo verso Palazzo Chigi per la riunione del gruppo di lavoro sulla declassifica delle carte relative alle stragi, e in particolare a quella di Ustica, che studio da anni. Due giorni fa, si è conclusa con un nulla di fatto l’audizione di Giuliano Amato al Copasir per chiarire il senso delle esplosive dichiarazioni fatte un mese fa a Repubblica sulla presunta responsabilità francese per Ustica. O almeno così suggerisce l’assoluta mancanza di indiscrezioni sulle sue dichiarazioni, tanto più strana considerato che in passato dal Comitato uscivano pagine intere.

I PROBLEMI DI FONDO DELLA VERSIONE DI REPUBBLICA

Secondo Repubblica, il Copasir si sarebbe mosso per sapere se negli archivi del SISMI esistano ancora carte classificate o se gli archivi di Paesi esteri o di alleati NATO vi siano «carte cruciali per poter ricostruire cosa è accaduto la sera del 27 giugno del 1980». Se anche così fosse, è difficile capire perché la risposta dovrebbe venire dall’ex presidente del Consiglio italiano. Non sembra quindi un caso che dopo l’apertura a effetto l’articolo sterzi con eleganza verso l’auspicio di una corretta comprensione di carte già in possesso degli inquirenti italiani (che, peraltro, hanno ritenuto di non convocare Amato, evidentemente per risparmiare a tutti l’imbarazzo di constatare l’assoluta assenza di novità).

L’ossessiva richiesta di nuove carte con le quali nutrire il Moloch di una inesistente battaglia aerea si scontra infatti con due problemi di fondo. Il primo: l’improbabilità che un documento inedito possa smentire l’enorme mole di materiale (tra 1,75 e 2 milioni di pagine) raccolta dalla decennale indagine del giudice istruttore Rosario Priore. Il secondo: l’impossibilità che un foglio di carta possa far comparire tracce radar mai individuate sui nastri o materializzare schegge di testa di guerra di missile da sempre assenti dal relitto. Benché la completezza della documentazione sia ovviamente un obbiettivo condivisibile, nuove parole o vecchie carte non possono comunque ribaltare le evidenze elettroniche e fisiche su ciò che ha distrutto il DC-9 e ucciso le 81 persone a bordo.

LA RETORICA DEL DEPISTAGGIO SU USTICA

Ma c’è di più. Postulare l’esistenza di carte in grado di invalidare prove e perizie significa anche rifiutare l’inesistenza di documenti che smentiscono le prove tecniche. È questo meccanismo complottista che da 43 anni alimenta il mistero di Ustica, la retorica del depistaggio ogni qualvolta la realtà smentisce la teoria e la demonizzazione di chi negli archivi legge quello che c’è davvero. Perché nelle carte già versate (ma ancora scomode da consultare) c’è moltissimo materiale pienamente coerente con quanto il relitto dice ancor oggi, dalle minacce palestinesi alla diversità di vedute tra SISMI e ambasciata a Beirut fino al coinvolgimento dell’amm. Fulvio Martini ancora nel 1980 e alla denuncia di depistaggi per coprire la matrice degli attentati.

In altre parole, l’appello a nuove carte suona come l’ennesimo rifiuto di quello che già c’è, in nome della caccia a qualcosa che si vorrebbe trovare ma non c’è. Non è una novità: nel 1999 lo stesso Priore continuò a indagare anche dopo aver depositato l’ordinanza di rinvio a giudizio, raccogliendo materiale che la Corte d’Assise dichiarò inutilizzabile nel 2000 all’apertura del processo.

Tra poco sarò a Palazzo Chigi. Varcandone il portone, mi tornerà in mente la barzelletta polacca che definiva il marxismo cercare un letto in una stanza buia, il marxismo-leninismo cercare in una stanza buia un letto che non c’è e il socialismo reale cercare in una stanza buia un letto che non c’è e gridare «Eureka! L’ho trovato!»

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