Chi direbbe oggi che Enzo Tortora era uno spacciatore affiliato alla camorra? Chi direbbe che la prova sta in un nome nell’agenda di un camorrista? Chi direbbe che la prova sta nel suo arresto? Nessuno, dopo la sua assoluzione e dimostrazione del clamoroso errore di persona fatto dagli inquirenti.
E’ questo il parallelo che viene in mente dopo aver letto le mirabolanti dichiarazioni a Repubblica di Giuliano Amato, già detentore di tutte le cariche possibili nell’ordinamento italiano: la riproposizione di accuse, miti e distorsioni uscite di scena nei processi penali, quando altri magistrati hanno esaminato con occhio disincantato queste e altre storie affardellate in istruttoria e sui giornali.
Perché è bene ricordare che niente di quanto Amato ha detto è nuovo, esatto o le due cose insieme. Nulla di quanto ha detto è sfuggito alle verifiche e smentite in dibattimento.
Per dirne una, il coinvolgimento del MiG-23 caduto sulla Sila è stato smentito dalla Procura di Crotone sin dal 1989. Il tentativo di far coincidere la caduta del DC-9 Itavia del 27 giugno 1980 (con la morte di 81 persone) con quella del MiG-23 del 18 luglio successivo è da sempre uno dei cavalli di battaglia del “partito del missile”, l’ipotesi complottista che ha ostacolato per anni l’accettazione della verità tecnica. Perché, all’esito dell’inchiesta tecnica, si è concluso al di là di ogni ragionevole dubbio che sul relitto recuperato per oltre il 90% non ci sono tracce di missile.
Proprio per questo, alla fine il giudice istruttore Rosario Priore si era aggrappato alla fantasiosa ipotesi della “quasi collisione”, secondo cui un caccia sarebbe passato tanto vicino al DC-9 da rompergli l’ala. In dibattimento fu dimostrato che i calcoli erano stati fatti sottostimando la robustezza dell’ala e sovrastimando lo spostamento d’aria.
A questi fatti accertati l’ex tutto e di più contrappone errori e distrazioni di ogni genere. L’avvertimento di Bettino Craxi a Gheddafi, per esempio, è del 1986: riguarda l’operazione El Dorado Canyon, quando gli Usa attaccarono Tripoli in risposta alla bomba libica che aveva ucciso militari americani in una discoteca di Berlino. Se si può scusare l’errore di memoria di un anziano socialista, meno chiaro è perché l’intervistatore e la redazione abbiano omesso verifiche per le quali basta Wikipedia.
La presenza di Gheddafi su un caccia – pare di vederlo, con tuta, maschera, giubbetto salvagente! – fonde l’episodio del MiG con uno degli scenari della battaglia aerea. Peccato che sui radar prima e dopo l’evento non ci sia traccia di questo aereo. Per la precisione, nel processo fu accertato che non vi erano altri aerei per 60 miglia (100 km) dal DC-9.
A dire il vero, non è la prima volta che Amato interviene a gamba tesa nel caso Ustica. Fu proprio una sua accusa di aver nascosto prove fotografiche dell’abbattimento che indusse il giudice Bucarelli ad astenersi dall’indagine per querelare Amato. Questo consentì l’inchiesta al giudice Priore, che già se ne era occupato come consulente della commissione stragi.
Anni dopo, da presidente del Consiglio, Amato chiese a Chirac di fornire documentazione sul disastro, sostenendo di non potersi fidare dei militari italiani che a suo giudizio mentivano. Per completezza di cronaca, la querela di Bucarelli fu archiviata a Perugia, che ritenne le dichiarazioni di Amato rese tipo mandato parlamentare e quindi insindacabili; i militari furono tutti e sempre assolti da ogni accusa di falsa testimonianza, alto tradimento, attentato al funzionamento degli organi costituzionali. Si potrebbe andare avanti, con il rischio di annoiare e confondere i lettori. Mi permetto di rimandare quindi al libro “Ustica: un’ingiustizia civile”, che ho scritto nel 2021 con il generale Leonardo Tricarico, dove questi ed altri fatti sono ampiamente spiegati.
La vera novità a ben guardare è quella dell’offensiva mediatica lontano dall’anniversario del disastro. Prima iI Tempo, poi La Verità e ora Repubblica. Una sequenza in crescendo, che impone di chiedersi come mai. La risposta non è facile, ma deve probabilmente ricercarsi in un ambito politico. Non bisogna dimenticare che nelle prossime settimane inizierà la discussione della proposta di legge che istituisce una commissione di inchiesta su terrorismo e stragi dal 1959.
Da questa commissione potrebbero uscire fatti scomodi a lungo rimossi dal dibattito pubblico per esempio sulle connessioni tra terrorismo italiano e mediorientale o sul conseguenze del cosiddetto “Lodo Moro” che garantiva impunità ai terroristi palestinesi in Italia purché si astenessero dal compiere azioni sul nostro territorio. Un impegno che i casi della sinagoga di Roma (1982) e Achille Lauro (1985) dimostrano fu spesso violato. Proprio Ustica nel 1980 potrebbe rappresentare la prima violazione del lodo, come suggerisce l’allarme inviato la mattina del 27 giugno da Beirut dal colonnello Stefano Giovannone.
Un’altra spiegazione politica, più vaga, potrebbe ricollegarsi alla difficoltà dell’opposizione di sinistra nei confronti del governo Meloni. Recuperare un mito centrale della lettura degli anni 80 o creare difficoltà nel già atteso rapporto con la Francia sono, in quest’ottica, entrambe piste suggestive.
Sarebbe inoltre da verificare lo stato effettivo dei pagamenti degli indennizzi stabiliti in sede civile alla proprietà della compagnia aerea Itavia o altri soggetti aventi diritto. Sono verifiche che richiedono tempo, ma che i grandi giornali quotidiani avrebbero potuto e dovuto fare prima di rilanciare come novità vecchie storie sempre rimasta infondate.
È proprio per questo che il pensiero corre a Tortora la cui innocenza nessuno mette in dubbio tornando alle infamanti accuse alle quali fu sottoposto. Per Ustica invece i processi penali, gli esami in contraddittorio, il lunghissimo dibattimento sembrano non essere mai accaduti.
Con lo spazio riservato ad Amato, si torna non solo alle accuse indimostrate, ma addirittura alla prevalenza della dichiarazione orale senza vincolo di giuramento. Una situazione davvero inquietante, che fa temere per la fiducia nella giustizia e nelle istituzioni.