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Perché è inutile leggere questi telegrammi di Ustica?

Che cosa dicono i (fondamentali, eppure ignorati) messaggi del capocentro SISMI di Beirut Stefano Giovannone su Ustica. L'articolo di Gregory Alegi

Paolo Bolognesi, nel 2016: «Ho letto le carte contenute nei faldoni messi a disposizione della Commissione Moro e posso affermare che su Ustica e Bologna non ci sono né segreti, né rivelazioni, né novità. I decenni passano ma i depistaggi sembrano resistere.» Daria Bonfietti, nel 2022: «I documenti ‘segreti’ che Giovanardi ha sempre fatto aleggiare, come corvi minacciosi portatori di straordinarie verità […] non contengono assolutamente elementi attinenti a Ustica.» Da qualche anno è più o meno così che procede lo scontro sui messaggi che il SISMI di Beirut inviò a Roma nel 1979-1982 e, soprattutto, sul fatto che in essi si possano rinvenire indizi utili per cercare quei responsabili della distruzione del DC-9 Itavia che nell’ordinanza-sentenza del giudice Rosario Priore sono dichiarati ignoti. Da una parte i presidenti delle associazioni dei parenti delle vittime della stazione e di Ustica, dall’altra Carlo Giovanardi. Semplificando: i sostenitori dell’abbattimento con un missile e quello della sua distruzione con una bomba.

Per chi non sia addentro alla vicenda può sembrare una bega di condominio, nella quale l’intensità della lite fa dimenticare la gravità dell’argomento sottostante. La differenza sta nel modo di avvalorare le diverse letture. Giovanardi, magari con qualche errore di memoria, ha sempre a grandi linee indicato il contenuto dei messaggi di Beirut (che aveva consultato nel 2016 come membro della commissione Moro). Bolognesi e Bonfietti invocano autorità esterne, che siano magistrati o l’allora segretario generale di Palazzo Chigi che l’11 aprile 2022 li definiva «atti che riguardano fatti coevi, immediatamente precedenti e successivi alla strage di Ustica, la cui valutazione è utile più ad escludere piste, che ad accertare una determinata verità».

Nel dichiarato timore che l’accettazione della bomba sul DC-9 porti necessariamente a rivedere le sentenze penali che condannano i neofascisti per la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, l’approccio di Bolognesi e Bonfietti sembra quella di chiedere all’opinione pubblica qualcosa a metà tra il referendum e l’atto di fede («credete a noi, non a lui»). Come tutti, so che l’ipotesi del collegamento degli eventi è stata sempre avanzata da Giuseppe Zamberletti, nel suo ormai introvabile libro La minaccia e la vendetta (1995) e durante il processo di Assise per Ustica. Non essendomi mai occupato della strage della stazione, mi sfugge però perché la conferma della presenza di una bomba sull’aereo debba necessariamente riverberarsi su Bologna.

Ma torniamo a Ustica. La sequenza dei messaggi del capocentro SISMI di Beirut Stefano Giovannone (nella foto), nome in codice “Maestro” è da meno di un anno consultabile presso l’Archivio Centrale dello Stato. Più che litigare sull’interpretazione “a scatola chiusa”, più che fare il tifo tra Modena e Bologna, tra DC e PCI (e loro successive trasformazioni), credo più opportuno dar conto di quanto compare nei 32 documenti della cartella “Ustica” versati nel 2022 e nei 163 aggiunti nel 2023. In fondo, un vecchio proverbio giornalistico recita che «se una persona dice che piove e un’altra dice che no, il mestiere del giornalista non è dare spazio a entrambi ma aprire quella cavolo di finestra e vedere se stia piovendo.»

È chiaro che in questa sede non è possibile la ricostruzione completa di quanto emerge dalle quasi 600 pagine dei 195 documenti. Limitandoci quindi alla domanda se le carte di Beirut contengano o meno spunti investigativi (non risposte assolute) per la distruzione del DC-9 del 27 giugno 1980, proponiamo la trascrizione integrale del messaggio classificato “segretissimo”, numero 335D27 «urgente per Sirio» inviato alle 10 del mattino del 27 giugno 1980 dal “collegamento 113” (Beirut o Giovannone?), con «distribuzione DD3». Il documento non contiene le parole “Ustica”, “aeroplano” o “bomba”, ma è uno di quelli visionati nel 2016 e ora presso l’ACS nella cartella digitale “Ustica”. Il 28 agosto 1984, su richiesta di Giovannone, vi fu apposto il segreto di Stato.

«2013 Habet informatomi tarda sera due sei [nota: 26 giugno] che F.P.L.P. [Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina] avrebbe deciso riprendere totale libertà azione senza dar corso ulteriori contatti virg seguito mancato accoglimento sollecitato nuovo spostamento data procedimento appello virg in conseguenza psicosi et reazioni negative determinatesi in Italia seguito rivelazioni Pecci [sic – in realtà Patrizio Peci] su asserite forniture armi da palestinesi at Bravo Charlie [nota: BC nell’alfabetico fonetico internazionale] alt Ho inutilmente tentato contattare subito mio abituale interlocutore et alternativamente Taysir Qubaa che telefonista dopo qualche minuto attesa habet affermato trovarsi estero alt Rappresento che capo gabinetto ministro giustizia dottor Zarabuda [sic – in realtà Salvatore Zhara Buda] non aveva escluso possibilità riportare data appello at settembre sensibilizzando argomenti da me addotti alt Ritengo urgente ed importante accertare disponibilità Corte Appello accogliere eventuale richiesta rinvio che penso possa essere presentata da collegio difesa alt Se processo dovesse aver luogo et concludersi in senso sfavorevole virg mi attendo reazioni estremamente gravi in quanto F.P.L.P. ritiene essere stato ingannato alt In tale caso ritengo non più valide garanzie concernenti personale ambasciata Beirut alt Per quanto sopra preferirei rinviare mia venuta sabato per disporre qualche elemento su eventuale orientamento Corte riguardo possibilità rinvio processo virg che tenterei comunicarsi qualche responsabile F.P.L.P. alt Fine»

Dal testo integrale si nota che Giovannone presenta il ritorno del FPLP alla «totale libertà d’azione» come una decisione già presa e l’insistenza sulla trattativa per il rinvio del processo come una propria speranza («ritengo»), tanto più che il suo contatto abituale Taysir Qubaa si è fatto negare al telefono. A oggi non sono noti i destinatari della «distribuzione DD3» e l’identità di “2013”. Benché un telegramma “Per Maestro da Sirio” del 14 novembre 1979 sia firmato “Ricci”, sappiamo che “Sirio” era il colonnello Armando Sportelli. Non è chiaro perché la formazione terroristica italiana che riceveva armi dai palestinesi sia indicata come BC quando Peci aveva parlato di BR. Poiché il 27 giugno 1980 era un venerdì, la partenza per Roma che Giovannone stava improvvisamente annullando era prevista per il giorno dopo. È un’urgenza suggestiva, oggi che sappiamo che quella stessa sera cadde il DC-9 Itavia.

Ma filologia a parte, ecco le domande. Cosa fece il 27 giugno “Sirio” quando lesse il messaggio 335D27? È credibile che la mattina del 28, dopo la caduta del DC-9, non abbia (ri)contattato Maestro/Giovannone? È pensabile che di fronte a 81 vittime gli ignoti destinatari della «distribuzione DD3» del SISMI non si siano interrogati sul senso di quella «totale libertà di azione senza dar corso ulteriori contatti»?

Torniamo al 27. Due ore dopo il primo messaggio, Giovannone inviò una nota urgente «personale per Sirio», sempre classificata come «segretissimo», sempre in ACS, ma in altro versamento. Per completezza, eccola.

«Seguito mio tretrecinque di duesette alt Preciso che colloquio con capo gabinetto ministro Giustizia in cui ho rappresentato nome capo servizio opportunità accedere at richiesta nuovo spostamento data processo appello per noti motivi contingenti habet avuto luogo mattina uno cinque maggio data mia partenza per Bermude [nome in codice di Beirut] per colloquio giorno successivo con noto interlocutore alt capo gabinetto est apparsomi disponibile et non pessimista at riguardo virg riservandosi informare capo servizio su esito intervento presso presidente corte appello alt Rappresento che esigenza cui sopra era da me stata rappresentata con messaggio urgente nr 258 datato 9 maggio alt Prego evitare diramazione presente messaggio anche ufficio Direttore, informandone verbalmente Ulisse [l’ammiraglio Fulvio Martini] appena possibile alt fine Maestro»

Perché “Sirio” non doveva condividere questa precisazione con l’ufficio del direttore Santovito? Perché Giovannone gli chiedeva di parlarne con Martini, dato che l’ammiraglio nel 1978 era rientrato in Marina? Che cosa si dissero “Sirio” e Martini? La risposta fu riferita a Giovannone? Perché nel 1999 Martini omette tutto questo dalla sua autobiografia, raccontando piuttosto di essere rimasto fino al 1984 fuori degli «eventi che turbarono poi per anni la vita dei Servizi italiani», tra i quali «la strage di Bologna, l’incidente del DC-9 di Ustica»?

Ma soprattutto: come è possibile liquidare questi messaggi come insignificanti, sapendo che 81 italiani sono stati uccisi poche ore dopo? Come è possibile che non costituiscano neppure uno spunto meritevole di approfondimento? Perché tacciare di oscuri disegni chi s’interroga su come questi e altri documenti si inseriscano nel panorama complessivo della ricostruzione di quegli anni?

Crediamo che queste siano domande naturali non solo per gli studiosi scevri da pregiudizi, ma anche per i normali lettori. Quelle che mancano sono le risposte.

– Leggi anche: Purgatori, Ustica e la subcultura del sospetto

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