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Trump

Ecco la bilancia commerciale Usa-Italia sul tavolo di Trump e Conte

Libia, Tap, Russia, Iran e non solo: sul tavolo del vertice bilaterale Trump-Conte alla Casa Bianca ci sono le principali questioni che caratterizzano le relazioni commerciali fra Stati Uniti e Italia. Un incontro che segue  stretto giro quello fra lo stesso Trump e Juncker, in cui Usa e Ue hanno messo in standby – quantomeno nelle…

Libia, Tap, Russia, Iran e non solo: sul tavolo del vertice bilaterale Trump-Conte alla Casa Bianca ci sono le principali questioni che caratterizzano le relazioni commerciali fra Stati Uniti e Italia.

Un incontro che segue  stretto giro quello fra lo stesso Trump e Juncker, in cui Usa e Ue hanno messo in standby – quantomeno nelle dichiarazioni di intenti – l’ipotesi di una guerra commerciale. Trump ha concesso lo stop all’imposizione di ulteriori dazi, dopo quelli che hanno colpito l’importazione Usa di acciaio e alluminio, mentre l’Europa si è impegnata ad aumentare le importazioni di gas naturale e soia.

All’orizzonte parrebbe profilarsi addirittura un’area di libero scambio sulle due sponde dell’Atlantico. In questo contesto, il premier Conte ha ragioni di soddisfazione e altre di preoccupazione, perché il nuovo paradigma degli scambi fra Usa e Ue avrà conseguenze che impatteranno sull’economia italiana, sia in positivo che in negativo.

I NUMERI DEI COMMERCI USA-ITALIA

Gli Stati Uniti rappresentano il terzo mercato per le nostre esportazioni. Secondo i dati forniti dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, il valore dell’export di beni e servizi italiani negli Usa nel 2017 ha toccato i 49 miliardi di euro, di cui 40 in beni. La bilancia commerciale è nettamente a favore del Belpaese, considerato che l’America ha registrato importazioni dall’Italia per appena 15 miliardi.

I SETTORI

In cima alla classifica dei settori in cui esportiamo figurano i veicoli da trasporto, che cubano circa un quarto del totale. Seguono macchinari, tessuti, abbigliamento, cibi e bevande. Dal punto di vista dei prodotti, sempre secondo dati Ispi, troviamo quindi le auto, imbarcazioni, vini, scarpe e prodotti farmaceutici. L’Italia non dovrebbe subire in maniera grave le conseguenze dei dazi che gravano su acciaio e alluminio perché i questo settore le nostre esportazioni sono esigue. Tuttavia le conseguenze indirette ci saranno eccome, come rileva questo approfondimento pubblicato su Start Magazine. Se il mercato Usa si chiude, le aziende siderurgiche italiane (per esempio quelle che producono tondini di cemento armato) troveranno difficoltà per la maggior concorrenza dei Paesi produttori tagliati fuori dal mercato americano. La flessione potrebbe riverberarsi sui tagli alle forniture da parte delle aziende italiane, e dunque avere ripercussioni sull’estrazione mineraria, sul settore energetico e i servizi di utility.

IL NODO DELL’AUTO

Considerata la nostra forza nel settore auto, l’esito del vertice fra Trump e Juncker ha avuto un esito in chiaroscuro. Da un lato, infatti, Trump ha voluto precisare che l’area non sottoposta a dazi non comprende questo comparto e ha paventato un aumento dei dazi stessi sulle auto dal 2,5% attuale al 20%. Dall’altro, dopo il vertice con Juncker la mossa è stata sospesa. Circostanza che tranquillizza in parte Conte, che da quanto emerge ha pronta la richiesta di stoppare la maxi-imposta paventata da Washington sulle auto di lusso.

LA SOIA E IL SETTORE AGRICOLO

Se sul fronte dell’automotive insomma l’Italia – per ora – tira un sospiro di sollievo, le maggiori preoccupazioni arrivano dal settore agricolo. Trump ha strappato all’Europa la promessa di una maggior importazione soprattutto di soia. L’ha fatto per compensare sul mercato del Vecchio Continente le perdite previste su quello cinese, dopo la rappresaglia di Pechino che ai primi di luglio ha risposto ai dazi sull’export dell’acciaio imponendone sull’import della soia americana. Questa non è una buona notizia per l’Italia, che è il primo produttore europeo di soia Ogm free. Un prodotto che, come ha rilevato Guido Salerno Aletta su Start Magazine, in mancanza di una filiera certificata rischia di subire pesanti ripercussioni dalla concorrenza Usa.

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