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Arnese

Berlusconi, berluschini e berlusconismi

Pillole di rassegna stampa nei tweet di Michele Arnese, direttore di Startmag. Speciale Silvio Berlusconi

 

ECCO I VERI PIANI DI URBANO CAIRO secondo l’analista Francis Walsingham

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SILVIO BERLUSCONI IMPRENDITORE. ESTRATTO DELL’ANALISI DI PAOLO BRICCO PER IL SOLE 24 ORE

Nel Silvio Berlusconi che ha poco più di vent’anni, c’è già tutto il Silvio Berlusconi che cambierà l’economia e la società – prima che la politica – del nostro Paese: propone le aspirapolvere ai vicini di casa, lavora in una piccola impresa di edilizia (la Immobiliari Costruzioni), intuisce dove sta andando la società dello sviluppo e dei consumi, tanto da discutere una tesi alla Statale di Milano su «Il contratto di pubblicità per inserzione» con cui ottiene 110 e lode, lui che nei decenni successivi sarebbe stato trattato con sufficienza se non con disprezzo per una presunta inferiorità culturale dai radical-chic e da chiunque mal ne sopportasse la potente antropologia popolare.

Tutto ciò che viene dopo è soltanto l’evoluzione naturale di quel grumo di abilità e di vocazioni, di progetti e di impulsi che hanno fatto di Berlusconi uno dei paradigmi dell’imprenditore italiano del secolo scorso. L’inizio è, appunto, nell’edilizia. Fonda prima la Cantieri Riuniti Milanesi Srl e poi la Edilnord Sas, con uno schema operativo molto tradizionale e una struttura finanziaria e societaria – secondo il rito ambrosiano (e italiano) del tempo – in cui compaiono anche società svizzere e capitali anonimi. In diversi passaggi cruciali, ha un ruolo di polmone finanziario formale la Banca Rasini, in cui ha fatto tutta la sua ascesa professionale il padre Luigi.

La svolta imprenditoriale avviene fra la fine degli anni 60 e appunto tutti gli anni 70, quando nel comune di Segrate Berlusconi acquista oltre 700mila metri quadrati di terreno. Qui costruisce Milano2, il primo esempio in Italia di città satellite – sulla scorta del modello del Nord Europa – in cui la buona borghesia ha tutti i servizi ed è a un passo dalla città, nella tranquillità del verde; una tranquillità garantita anche dalla deviazione delle rotte dei rumorosi aerei del vicino aeroporto di Linate, un esempio della capacità di Berlusconi di incidere sulla vita pubblica e amministrativa.

Silvio compone un piccolo ceto sociale. I milanesi di Milano2. Plasmando i costumi e la mentalità. Questo è uno dei fili rossi della sua attività di imprenditore: non produce beni, non trasforma materie prime, non fa funzionare una fabbrica e non manipola denaro, ma crea invece stili di vita e orienta i comportamenti, ricavandone denaro.

La cultura aziendale berlusconiana è la prima in Italia che non si vergogna del benessere materiale acquisito e degli stipendi, delle belle mogli e delle ragazze, delle macchine e delle case, in un Paese ipocrita sul denaro e sulla promozione sociale come è l’Italia.

Berlusconi opera nell’immobiliare e nell’editoria, di antico e di nuovo conio. Nel 1977 entra nel Giornale Nuovo, l’influente ma indebitato quotidiano di Indro Montanelli. Nel 1979 – in una stagione segnata dall’apertura di numerose e microscopiche TV private – imposta il progetto di una televisione locale nazionale, in un circuito sostenuto e alimentato dalla raccolta pubblicitaria. Le due gambe sono la Fininvest e Publitalia 80. Il lancio di Canale 5 si rafforza con le acquisizioni di Retequattro da Mondadori e di Italia Uno dalla Rusconi: Berlusconi è riuscito laddove in tanti hanno fallito, perdendo barcate di quattrini. A quel punto, il monopolio della Rai nella forma non esiste più.

Quella è una stagione del capitalismo italiano ricca di personalità contrastanti, che miscelano l’appartenenza al sistema con la contrapposizione a esso o, almeno, con l’intento di una sua robusta rivitalizzazione dall’interno. È una stagione che dura un attimo. Ci sono Mario Schimberni alla Montedison, Carlo De Benedetti alla Olivetti, Raul Gardini alla Ferruzzi. Gianni Versace e Giorgio Armani da sarti si fanno imprenditori e aprono i loro negozi sulla Fifth Avenue a New York e su Ocean Drive a Los Angeles.

E c’è, appunto, Silvio Berlusconi. Che osa l’inosabile. Incrina il monopolio della Rai, il cuore culturale del potere democristiano, la balena bianca che allora sembra inaffondabile, il centro di costruzione del consenso di massa di un Paese in apparenza docile e con il sorriso, in realtà cinico e baro.

Nel gioco del potere, Silvio non è mai accettato dall’establishment. È sempre considerato un homo novus, un imprenditore di prima generazione con una estetica non istituzionale e irruentemente grossier, valori consumisti sfrontatamente esibiti e intollerabili per il cattolicesimo prevalente di sinistra e per il moralismo comunista, una strategia industriale e una autonomia psicologica né riducibili né controllabili dal sistema Agnelli-Mediobanca.

Silvio è mal tollerato dall’establishment del Novecento italiano. Negli anni 80 e negli anni 90 – prima che in Italia venga giù tutto e Berlusconi indossi i panni del politico – è però lui l’imprenditore che cambia con maggiore profondità la quotidianità e i desideri degli italiani. Non è un demiurgo che procede in solitaria in una realtà chiusa e circoscritta. Con la sua impresa fa business e trasfonde e propaga i modelli di consumi, di libertà individuale e di secolarizzazione che – partiti dagli Stati Uniti – si stanno diffondendo in tutta Europa. Per gli italiani la televisione è il nuovo focolare domestico. E quell’imprenditore di nome Silvio, che di fronte alle telecamere delle sue reti e dunque nelle nostre case non appare (quasi) mai, è insieme il suo angelo e il suo diavolo.

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