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Russia Prodi

Attenti a quel sornione di Romano Prodi

Parole, opere e pensieri di Romano Prodi in vista della corsa al Quirinale

Chissà se sono fischiate le orecchie a Giuseppe Conte domenica scorsa, che è stata una doppia festa: civile per i 76 anni trascorsi dalla Liberazione, quella con la maiuscola dal nazifascismo, e religiosa per la figura del Buon Pastore evocata nel Vangelo secondo Giovanni con le parole di Gesù, che conosce le sue pecore e ne è riconosciuto.

Più il sacerdote parlava di questo Vangelo della quarta domenica di Pasqua e più io pensavo, al limite della blasfemia, all’ex presidente del Consiglio Conte, appunto, a causa di ciò che avevo letto il giorno prima sul Corriere della Sera in una intervista di Romano Prodi. Che parlando del “magma di stato nascente” del Movimento 5 Stelle e della “implosione” secondo lui mancata perché ne sarebbe uscita solo “una minoranza estremista”, si era consolato sapendo ormai la maggioranza dei grillini affidata in buone mani per trovare finalmente “una coerenza e un equilibrio interni”.

“Con Conte?”, gli aveva chiesto Massimo Franco, non so se con più scetticismo o curiosità. E Prodi a sua volta: “E chi altro? Il cane pastore dei Cinque Stelle è lui”.

Da fedele migliore o meno tentato di me dalla blasfemia, Prodi dunque non aveva scomodato Gesù e aveva paragonato Conte solo al “cane pastore” e suoi simili. Che – aveva spiegato il professore emiliano – “girano, vanno da una pecora, poi dall’altra. Ne mordono qualcuna riluttante al garetto per portarla dove c’è l’erba verde”. Io invece ho avuto più riguardi di Prodi verso Conte e, piuttosto che paragonarlo a un cane, l’ho immaginato all’altezza di almeno un buon pastore al minuscolo, comunque diverso dal “mercenario” ricordato da Gesù nel Vangelo come quello che “non è pastore, al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, le abbandona e fugge”, per cui “il lupo le rapisce e le disperde”. Il cane lupo indicato da Prodi è invece solo l’animale del Buon Pastore, al maiuscolo, che lo aiuta a governare le pecore.

Insomma, a conti fatti, anche evangelici, pensando a lui durante la predica del sacerdote io sono stato con Conte più carino del suo pur amico politico Prodi, per quanto lo avesse promosso ad affidabile interlocutore, anzi alleato del suo Pd: suo, cioè di Prodi, nonostante le brutte sorprese riservategli in passato, specie nella corsa del 2013 al Quirinale, boicottato con impietoso successo da cento e più “franchi tiratori”. Che si erano evidentemente rivoltati alla scelta di Prodi come candidato per acclamazione, dopo l’insuccesso già spiacevole del presidente del partito Franco Marini.

Prodi ne rimase tanto scioccato, al di là delle risatine opposte agli amici come per rassicurarli, facendo loro credere che in fondo non aveva davvero creduto di potercela fare, che ha tenuto nella già ricordata intervista al Corriere a tirarsi fuori dalla prossima edizione della corsa al Quirinale. Cui invece alcuni giornali lo hanno già iscritto d’ufficio con un bel po’ di colleghi di partito come Walter Veltroni, Dario Franceschini, Paolo Gentiloni, Davide Sassoli ed Enrico Letta: neppure una donna, come vedete, per quanto lo stesso segretario abbia recentemente sventolato la bandiera della parità di genere per cambiare entrambi i capigruppo parlamentari.

“Non ho l’età, come cantava Gigliola Cinquetti: nel senso però che ne ho troppa, quasi 82 anni”, ha motivato Prodi la sua rinuncia a correre aggiungendovi tuttavia un altro motivo ancora: “Sono stato un uomo di parte, e in fondo lo sono ancora”, come per giustificare generosamente i franchi tiratori di otto anni fa. Ma, per favore, non credetegli più di tanto, specie nel passaggio canoro dell’età, perché gli 82 anni sulle spalle non impedirono nel 1978 l’elezione di un presidente della Repubblica che è stato probabilmente il più popolare tra quelli succedutisi al Quirinale: Sandro Pertini. Anzi, l’età fu paradossalmente tra gli elementi a favore della sua candidatura, avanzata dopo quelle tentate o fallite del suo compagno di partito Giuliano Vassalli e del suo ex compagno Antonio Giolitti, approdato da tempo fra i comunisti senza guadagnarsi tuttavia il perdono della sua origine.

Il democristiano Flaminio Piccoli si lasciò scappare un rassegnato consenso a Pertini proprio per i suoi 82 anni, che avrebbero potuto statisticamente renderne breve il mandato. Pertini invece volle e seppe condurre regolarmente a termine il suo incarico, in forma quasi come il primo giorno, anzi con la voglia o la disponibilità neppure tanto nascosta di raddoppiarlo alla scadenza, se solo glielo avessero proposto. Al Quirinale egli avrebbe forse trovato l’adrenalina necessaria alla seconda missione. Atro che morire nel 1990, a 94 anni.

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