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Tutte le ambiguità di von der Leyen su Green Deal e Intelligenza artificiale

Cosa non torna nel discorso programmatico di Ursula von der Leyen. L'analisi di Gianfranco Polillo.

 

C’è una premessa da cui partire: l’IA (Intelligenza Artificiale) è fin da ora la tecnologia del futuro. Che i luddisti di varie tendenze e riti se ne facciano una ragione. La loro battaglia, nel nome di un astratto principio di precauzione, è destinata al fallimento. Come sconfitto fu il tentativo di distruggere qualche telaio meccanico, nella speranza di arrestare il corso della prima rivoluzione industriale. Quindi adelante seppur con juicio, per riprendere la celebre frase del Manzoni: gli oscurantismi antiscientifici che trasudano in tante prese di posizioni “no pasaran”.

E non passeranno soprattutto a causa della potenza implicita in questa nuova sorgente di produzione del valore. Non avrà forse l’effetto dell’invenzione del “motore a vapore” o della “diffusione dell’energia elettrica”, come ipotizzava una delle tante Comunicazioni della Commissione europea, ma rappresenterà comunque quel “salto di paradigma” in grado di condizionare le mille pieghe del futuro sviluppo produttivo. Investendo sia il campo civile che quello militare.

Nella storia del capitalismo le innovazioni hanno sempre segnato le varie tappe del suo cammino. Dalle prime soluzioni tecniche che avevano consentito guadagni seppure limitati di produttività, si era passati alla crescente capitalizzazione dei processi di produzione. Grazie i volumi di investimento, sempre maggiori, lo sviluppo del “macchinismo” era giunto al punto di subordinare alle proprie esigenze lo stesso lavoro dell’uomo. L’operaio, per riprendere un’immagine di Marx nei Grundrisse, che si trasformava in un braccio della macchina alla quale era asservito. Ne subiva il ritmo e forse anche la fascinazione.

Oggi siamo invece all’ultimo stadio: quello delle “macchine intelligenti”, guidate da un super computer che non ha bisogno dell’azione dell’uomo, una volta che è stato avviato. Un po’ lo spettro di “Odissea nello spazio”: il grande film di Stanley Kubrick, capace di allarmare le coscienze fin dal 1968. Anche se alla fine Hall 9000, la macchina che fin da allora era dotata di Intelligenza Artificiale, sarà disattivata dall’ultimo astronauta rimasto in vita.  Ma solo dopo gli atroci delitti compiuti da quest’ultima. Un monito fin da allora: la tecnologia, qualunque ne sia la sua caratteristica, va sempre trattata con rispetto, onde evitare possibili conseguenze negative.

C’è traccia di tutto questo nel programma presentato da Ursula von der Leyen al Parlamento europeo, in occasione della sua conferma ai vertici della Commissione? Solo in parte. All’IA si dedica una decina di righe, dopo una più grande attenzione riservata al Green Deal. E più o meno lo stesso schema è ripetuto nel suo successivo discorso di investitura. Nel suo speach, l’unico accenno è contenuto all’interno in una prospettiva più generale tutta centrata sulla proposta di un nuovo “Clean Industrial Deal” da presentare nei primi cento giorni del suo mandato. Programma la cui attuazione richiederà la realizzazione di “un’Unione europea del risparmio e degli investimenti” accompagnato dalla nascita di un nuovo “Fondo europeo per la competitività”.

Insomma, l’impressione è: prima il Green Deal e poi – risorse permettendo – tutto il resto, compresa l’IA. Lo stesso Fondo per la competitività sarà, infatti, utilizzato per finanziare “progetti comuni e transfrontalieri che guideranno la competitività e l’innovazione in particolare per supportare il Clean Industrial Deal”. Per garantire, quindi, che lo sviluppo delle “tecnologie strategiche” – “dall’intelligenza artificiale alla tecnologia pulita” – si radichi in Europa.  Preoccupazione che risente un po’ del mutato clima internazionale, tutto centrato sulla necessità di controllare nazionalmente produzioni in passato affidato al format delle supply chains, e delle catene globali del valore.

Rispetto al “modello americano” le differenze sono evidenti. La decisione di Joe Biden di istituire il fondo dell’IRA (Inflation reduction act) con una dote di 369 miliardi di dollari, da utilizzare per aumentare la produzione di energia pulita, era stata presa per ridurre il distacco con la Cina. Il cui primato, nel campo delle batterie elettriche e dei pannelli solari, era debordante. Ma era stata la decisione assunta da una posizione di forza, considerato che nel campo dell’IA, la leadership americana era assoluta: con un investimento pari, nel periodo 2013-2023 (Dati Stanford University), a 335,24 miliardi di dollari, contro i 103,65 della Cina.

In Europa, invece, almeno a giudicare dai programmi predisposti, il fascino cinese risulta evidente. Il Green Deal continua ad essere il più gettonato, anche se i costi relativi sono da capogiro. E le risorse indispensabili per rispettare i tempi previsti dal “Fit for 55” (il programma che prevede di ridurre, nel 2030, le emissioni dei gas con effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990) sono ancora tutte da trovare. Tant’è che proprio per questo motivo Ursula propone di realizzare “l’Unione europea del risparmio e degli investimenti”. Proposta che dovrebbe convincere soprattutto tedeschi e olandesi: che sono i principali titolari di quel risparmio. Finora affidato a brokers internazionale dovrebbe essere impiegato in modo esclusivo all’interno dei confini europei. Più facile a dirsi che a farsi.

Nonostante queste evidenti contraddizioni, il nodo non risolto del rapporto tra il diffondersi dell’IA ed il bilancio energetico rimane. Con il suo sviluppo, infatti, i consumi energetici sono destinati a crescere sensibilmente.  Di un’intensità tale da non poter essere sostenuta dall’uso dei soli combustibili fossili. Pena la perdita assoluta del controllo sui cambiamenti climatici. Sempre che sia l’eccesso di CO2 a determinarne le più nefaste conseguenze. Il problema, pertanto, pur con le difficoltà del caso, non può essere eluso.

Ovviamente non abbiamo la pretesa di fornire soluzioni. Ci limitiamo soltanto a constatare che, almeno per adesso, il silenzio è tombale. La stessa Von del Leyen ha fornito solo indicazioni sibilline. Il preannuncio di un nuovo Industrial deal lascia intravedere, se non interpretiamo male, una rimodulazione degli impegni presi. Nel suo discorso al Parlamento, ha accennato a tre possibili date: “il 2030, il 2040, il 2050”. Sembrano essere l’indicazione dei necessari tagliandi, ma non una modifica dei rigidi obiettivi fissati dal Green deal. La cui realizzazione presuppone quella disponibilità finanziaria che è difficile trovare.

Tutto ciò lascia, evidentemente, nell’indeterminatezza. Che poi è stata la cifra di quanto avvenuto nel corso delle votazioni. Ed è stato un peccato. Il perimetro della maggioranza parlamentare è stato delineato da eventi, come l’invasione dell’Ucraina, che ha esaltato l’atlantismo ed un comune sentimento filoccidentale. Poi, all’interno di questo schieramento più ampio, sono prevalse le ripicche ed i veti nei confronti di chi aveva valori sanguigni non rispondenti ai propri desiderati. Una divisione fittizia, di fronte alla drammaticità dei problemi da affrontare, che ha comportato zone di ambiguità poi riflesse nelle indicazioni programmatiche. Che sono, tuttavia, solo il fischio d’inizio di una partita che resta ancora tutta da giocare.

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