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Missione Afghanistan

Afghanistan, tutti i costi della presenza militare italiana

L'articolo di Giuseppe Gagliano

 

Difficile negare che l’attuale situazione in Afghanistan sia di vera e propria anarchia. A dimostrazione di quanto affermato basterebbe citare uno dei numerosi episodi di violenza che quotidianamente caratterizzano l’Afghanistan: il 18 maggio infatti i talebani hanno posto in essere una offensiva nel distretto di Obe, nella provincia occidentale di Herat che ha causato la distruzione di un ponte che collegava il distretto di Obe con la provincia di Herat.

Il secondo episodio si riferisce invece ai conflitti tra fazioni di militanti islamisti: il movimento talebano pakistano denominato Tahrik-e-Taliban ha ferito mullah Abdul Mannan Niazi. Questo movimento è particolarmente importante perché è stato in grado di unificare numerosi gruppi di militanti islamisti presenti tra il Pakistan e l’Afghanistan e a partire dal 2007 ha condotto attacchi molto efficaci in Afghanistan. Al livello di consistenza numerica questo movimento islamista oscilla tra le 2005 e le 6000 unità. Quanto alla sua pericolosità è sufficiente pensare che nel solo 2020 ha effettuato un centinaio di attacchi.

Dopo vent’anni di conflitto in Afghanistan e dopo altissimi costi in fatto di vite e sotto il profilo economico le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti.

Proprio per quanto riguarda le spese economiche sostenute dal nostro paese, di estremo interesse sono i dati forniti da un recente report di Milex secondo il quale l’impatto finanziario sostenuto dall’Italia sul teatro afghano a partire dal 2001 si aggira sui 6,77 miliardi di stanziamenti diretti a cui va aggiunto l’esborso di 720 milioni di euro a sostegno delle forze armate e di polizia afgane (120 milioni l’anno a partire dal 2015) e circa 925 milioni di spese aggiuntive relative al trasporto truppe, mezzi e materiali da e per l’Italia, alla costruzione di basi e altre infrastrutture militari in teatro, al supporto d’intelligence degli agenti AISE, della protezione attiva e passiva delle basi, alla protezione delle sedi diplomatiche nazionali e alle attività umanitarie militari strumentali (CIMIC, classificate all’estero, con più realismo, come Psy Ops, cioè guerra psicologica: aiuti in cambio di informazioni) per arrivare ad una cifra totale di 8.418 milioni di euro a fronte di un sostegno a interventi di cooperazione civile valutabile in circa 320 milioni di euro.

La domanda che si può porre ai nostri decisori politici è la seguente: quale utilità, sotto il profilo geopolitico ed economico, l’Italia ha ricavato da questo intervento al di là del consueto ossequio del nostro paese alle alleanze politico-militari come quella posta in essere il Libia?

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