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Mossad

Come i giornali israeliani hanno letto l’accordo Israele-Emirati

Tutte le reazioni politiche e mediatiche in Israele all'accordo con gli Emirati. L'approfondimento di Daniel Reichel, giornalista e animatore di Pagine Ebraiche, per Affarinternazionali

Le reazioni in Israele all’annuncio dell‘accordo di normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti sono state, tra i poli più estremi della politica israeliana, molto simili.

La destra ultranazionalista ha visto svanire il sogno di un’estensione della sovranità su una parte della Cisgiordania. Anche se il Premier Benjamin Netanyahu continua a sostenere che l’annessione, così come previsto nella dichiarazione congiunta con gli Emirati Arabi, è solo sospesa, pochi gli credono. Sull’altro versante invece, la sinistra più vicina alle aspirazioni palestinesi ha dovuto ricredersi su un punto: a lungo si è detto che nessun Paese arabo avrebbe mai normalizzato i rapporti con Israele se non attraverso un iter che avrebbe portato alla nascita di uno Stato palestinese.

E invece gli Emirati Arabi Uniti – e sembra che Oman e Bahrein saranno i prossimi – ha promesso ufficialmente di farlo. In patria rivendono l’intesa come una vittoria poiché hanno costretto Israele a non procedere con l’annessione dei territori della Cisgiordania (il 30%, secondo il piano ideato dalla Casa Bianca) ma i palestinesi si sentono abbandonati.

LA DELUSIONE DELLA DESTRA

A dar voce alla delusione dei primi, l’emblematica reazione di Shimon Riklin. Commentatore politico vicinissimo a Netanyahu, che ha difeso alacremente da ogni accusa di corruzione, da ogni attacco, aveva avuto un momento di critica nei confronti del leader del Likud ma poi si era fatto riprendere con lui in un video dal sapore propagandistico.Ora però sembra nuovamente aver gettato la spugna: “Salve, signor Primo Ministro – ha scritto Riklin dopo l’annuncio dell’accordo – Lei sa e noi sappiamo che c’è già una piena collaborazione con gli Emirati Arabi Uniti. Quindi il titolo di normalizzazione del rapporto con loro è uno scherzo. Ma la sovranità. Questa è un’opportunità che capita una volta in ogni generazione. Anche in questo caso ci hai servito un’umiliazione sul tema della sovranità. Siamo con te fino in fondo nell’ingiustizia che ti è stata fatta. Ma non stai promuovendo alcuna questione di destra. Per quanto tempo ancora”.

La disillusione di Riklin dà voce a quella di molta destra nazional-religiosa che inizia a crede a quello che il giornalista di Haaretz Anshel Pfeffer ha sempre sostenuto: Netanyahu non vuole procedere con l’annessione.

Per Ben Caspit, giornalista di Maariv, il leader del Likud ha fatto un passo positivo con gli Emirati Arabi ma ora rischia di pagarne le conseguenze dal punto di vista elettorale: “Se ci liberiamo dal rumore di fondo, allora l’annuncio di una roadmap verso la normalizzazione tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti è un’ottima notizia e anche una buona conquista storica per il governo di Netanyahu. Il problema è che in Medio Oriente in generale, e in Israele in particolare, il rumore di fondo è la realtà, e non fa ben sperare per Netanyahu. Ha guadagnato qualche punto nel centro-sinistra, che ama gli accordi con gli arabi, ma ha perso più punti nella base dei suoi elettori di destra. Il motivo è semplice: tutti capiscono che la promessa di annessione è decaduta. Il sogno è svanito”.

Come una specie di contrappasso, aggiunge l’analista politica Tal Shalev su Walla, gli elettori pro-sovranità possono capire ora i delusi di Kachol Lavan, il partito alleatosi con Netanyahu: “La destra più a destra è delusa dalla violazione della promessa elettorale di Netanyahu e può ora identificarsi con la maggioranza degli elettori di Kachol Lavan, che hanno avuto la stessa esperienza solo tre mesi fa, quando Benny Gantz ha abbandonato l’impegno di non sedersi con Netanyahu e si è unito al governo da lui guidato. Insieme, possono mettere su un partito di imbroglioni“.

Ora Netanyahu, fino alle scorse settimane intenzionato a far saltare il banco e l’accordo proprio con Gantz, sembra voler evitare le elezioni anticipate. Nonostante l’intesa con gli Emirati Arabi sia un grande risultato personale – lui parla di pace, il paese del Golfo di processo di normalizzazione – l’aver rotto la promessa elettorale, le pesanti critiche per la gestione della pandemia, che sta facendo passare a Israele un estate di preoccupazione e paure, sommate alla pesante crisi economica hanno riportato il Primo ministro a più miti consigli. E, ancora per la legge del contrappasso, in una situazione simile a quella dell’alleato/avversario Gantz: entrambi pagherebbero lo sconto delle proprie decisioni in cabina elettorale, seppur a Gantz andrebbe decisamente peggio.

LA SINISTRA E L’ATTESA DEI PALESTINESI

Sull’altro versante, la voce che dà forma alla delusione palestinese e di una parte della sinistra israeliana è quella di Haggai Matar, direttore della rivista online +972mag. “Le notizie di oggi: Israele rinuncia all’annessione formale, continua a portare avanti le politiche di annessione e di apartheid contro i palestinesi sul terreno, e come ‘ricompensa’ ottiene una normalizzazione formale con un paese con cui ha già avuto rapporti di fatto normalizzati”, il tagliente commento di Matar, secondo cui nulla di fatto cambia con l’accordo per i palestinesi.

Questi ultimi sono i grandi delusi: nell’accordo non ci sono concessioni per loro ma solo il mantenimento dello status quo, che da sempre contestano. Anzi, come scrivono l’analista Tareq Baconi e il giornalista Gal Berger, la leadership palestinese è rimasta spettatrice degli eventi, incapace di incidere sulla loro evoluzione ma pronta a protestare a cose fatte, pensando che il tempo sarebbe stato dalla loro parte. Secondo Berger, molti leader palestinesi, a partire dal presidente dell’Anp Mahmoud Abbas, erano convinti che nessuna nazione araba avrebbe mai rotto il fronte e aperto la porta principale a Israele.

“Il presidente dell’Autorità palestinese ha ricevuto una lezione ieri sera – scrive Berger – Una lezione insopportabilmente difficile. Nove anni fa, in un’intervista esclusiva che ho fatto con lui nel suo ufficio a Ramallah, subito dopo l’assassinio della famiglia Fogel a Itamar, sono tornato con lui ai tempi di Olmert. Lo stesso Olmert che gli ha offerto più della metà del ‘regno’ nel 2008. ‘Perché non ha colto l’occasione allora, non ha colto l’offerta e non è andato a siglare un accordo? Perché ha preferito l’occupazione al 100 per cento rispetto ai due terzi della pace?’, gli dissi allora. Mi rispose che dalla sua conoscenza degli israeliani, se allora avesse preso i due terzi della pace, non avrebbe ottenuto il terzo rimanente. E così scelse di aspettare“, la testimonianza di Berger, per cui quell’attesa si è risolta in un danno per le rivendicazioni palestinesi.

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