skip to Main Content

25 Aprile

25 Aprile: può esistere una memoria condivisa del passato senza aver fatto i conti con il passato?

Il Bloc Notes di Michele Magno

Niente di nuovo sotto il sole: anche quest’anno il 25 aprile verrà vissuto come un derby tra opposte tifoserie, fascisti contro antifascisti, destra contro sinistra. La verità è che, dopo oltre tre quarti di secolo dall’insurrezione che liberò il Nord del paese, non ne abbiamo ancora una memoria condivisa. Forse per la semplice ragione che una memoria condivisa non è possibile, almeno fino a quando resteranno dei conti in sospeso con il passato. Lo aveva intuito nel 2009 Silvio Berlusconi (a proposito: auguri) in un discorso tenuto a Onna, cittadina simbolo del terremoto in Abruzzo, quando propose di convertire la Festa della Liberazione in una Festa della Libertà.

Un discorso intellettualmente onesto, in cui l’appello a superare una storica divisione non sminuiva le ragioni dei vincitori e i torti dei vinti. Per la prima volta, anzi, il Cavaliere riconosceva senza ambiguità il contributo decisivo della Resistenza alla nascita della democrazia repubblicana. Ciononostante, fu sommerso da un mare di polemiche, e qualcuno, come l’allora governatore della Puglia Nichi Vendola, lo liquidò seccamente come l’espressione di un “brutto revisionismo, puzzolente e melmoso”. A mio avviso, quel discorso avrebbe meritato una più pacata accoglienza, perché ci invitava a meglio riflettere su una questione cruciale, ovvero se la Libertà (con la maiuscola) possa essere considerata un valore, sia pure il più alto e irrinunciabile.

Nessuno ne meni scandalo. Intendo dire che essa, in realtà, è la condizione perché questa o quella libertà (con la minuscola) si dia. In tal senso, può decidersi per il bene come per il male, con sovrana indifferenza. Addirittura può rovesciarsi nell’atto che la nega o l’annulla. Insomma, la libertà -come ben sapeva il Dostoevskij lettore di Pascal- viene prima del bene e del male. Attenzione, però. Perché, come ha scritto il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, lo stesso Dostoevskij “più profondamente di ogni altro ha compreso che il male è figlio della libertà. Ma ha compreso pure che senza libertà non c’è il bene. Anche il bene è figlio della libertà. A ciò si ricollega il mistero della vita, il mistero del destino umano”.

“La libertà è irrazionale e perciò può creare sia il bene sia il male. Ma ricusare la libertà per il fatto che può produrre il male, significa produrre un male ancora più grande” (“La concezione di Dostoevskij”, Einaudi, 2002). Da ciò si deduce che, per l’autore di “Delitto e castigo”, la libertà rappresenta le fondamenta dell’edificio umano, e che i suoi inquilini sono disposti a patire tutte le sofferenze che il mondo può infliggere pur di sentirsi liberi. Ciò vale in questi giorni per il popolo ucraino, e dispiace che siano tanti gli italiani -diciamoci le cose come stanno- a non averlo capito. Eppure fu proprio la ribellione di pochi che contribuì alla libertà di tutti.

Back To Top