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Georgia

Vi racconto lo sterminio digitale in Georgia. L’articolo di Rapetto

La Georgia, per la seconda volta, è stata ciberneticamente “rasa al suolo” nell’indifferenza planetaria. L'articolo di Umberto Rapetto

In questi giorni è scoppiata una guerra e non ce ne siamo nemmeno accorti.

Anzi, a voler esser precisi, si è ripetuto uno sterminio digitale che già undici anni fa aveva terrorizzato gli addetti ai lavori (quelli “veri”) ed era ugualmente passato inosservato al grande pubblico.

La Georgia, per la seconda volta, è stata ciberneticamente “rasa al suolo” nell’indifferenza planetaria, come nella sequenza di “Operazione San Gennaro”, quando un’esplosione provocata dalla sgangherata banda di Manfredi & C. fa crollare una parete di un “basso” partenopeo in cui tutti stanno vedendo in tv il Festival della canzone napoletana. Nel film di Dino Risi il “nonno” del folto assembramento famigliare non si volta neppure ma si limita a strillare “aaaa porta!” come se lo spostamento d’aria del fragoroso botto fosse dovuto ad un battente lasciato aperto. In questo caso non ci si è neppure accorti del fastidioso spiffero…

Nell’agosto 2008 una raffica di attacchi via Internet avevano saturato la funzionalità di una significativa quantità di sistemi informatici e messo KO una moltitudine di siti web, dando luogo ad una sorta di Via Crucis durata oltre una settimana e dimostrando una vulnerabilità “nazionale” senza precedenti (in proposito è suggestiva la lettura del sintetico rapporto estone sull’accaduto).

Stavolta l’assalto alla baionetta virtuale si è tradotto nel “defacement” (ovvero nella devastazione dei contenuti pubblicati online) di migliaia di “homepage” georgiane con l’inserimento indebito di una fotografia che ritrae l’ex presidente della Repubblica Mikheil Saakashvili, che sventolando un piccolo striscione con la scritta “I’ll be back” annuncia il proprio imminente ritorno.

Lo sfregio non si è limitato – come qualcuno sarebbe portato ad immaginare – ad un infantile scarabocchio in formato ipertestuale: i siti delle Corti di Giustizia, ad esempio, non hanno subito solo l’affissione di una immagine irriguardosa ma sono stati vittima del saccheggio di una consistente quantità di documenti processuali che non erano certo destinati a diventare di dominio pubblico. Le reti televisive sono rimaste “senza segnale” e il loro blocco delle trasmissioni ha incrementato il senso di paura che non ha tardato ad essere endemico. Il pensiero che l’emittente pubblica – anziché essere il vettore di informazioni nelle fase più delicate dell’emergenza – resti “muta” ed inutilizzabile induce spontaneamente a pensare alla difesa cibernetica della Rai, ma il discorso rischia di appesantirsi…

Non si sa chi possa aver mandato a segno questo attacco massivo, ma sono in molti a pensare che dietro all’azione ci possa essere la Grande Madre Russia. Certamente gli appassionati di geopolitica possono trovare parecchi spunti di approfondimento e di confronto.

Nel frattempo il Ministro degli Interni della Georgia Vakhtang Gomelauri ha cercato di far capire ai suoi connazionali che questo genere di problema è comune anche alle altre nazioni e che gli attacchi cibernetici rientrano tra i principali crimini del XXI secolo.

Quel “succede dappertutto”, però, potrebbe non aver sedato le preoccupazioni anche perché è stato spiegato che sono al lavoro non soltanto gli specialisti dei Servizi segreti e delle forze dell’ordine ma che ci aspetta un significativo apporto da “amici e partner stranieri coinvolti per la soluzione dell’emergenza”.

Il timore di paralisi dei sistemi informatici su cui si basa la regolarità dei servizi essenziali nel vivere quotidiano è più che giustificato. Analogamente a quel che accade dalle nostre parti, anche lì – giù nel 2011 – era stata data solenne garanzia di aver raggiunto un livello di protezione adeguato. Come da noi, una presentazione in PowerPoint esibiva una serie di traguardi conseguiti quali l’istituzione di alcuni Computer Emergency Response Team e l’instaurazione di rapporti di mutua assistenza con organizzazioni internazionali e imprese del settore della sicurezza informatica.

Probabilmente anche lì il CERT era una quinta teatrale, con personale occupato con orari da ufficio del Catasto e con “reperibilità H24” non attuabile perché – tutti fuori dopo le 17 e sicuramente nel weekend – manca chi nell’ipotetica sala operativa dovrebbe chiamare chi è rintracciabile a casa o altrove.

La lezione georgiana – mi ostino ad insistere pur conscio della granitica imperturbabilità di chi governa il Paese indipendentemente dal colore della fazione – dovrebbe almeno far scaturire il più naturale “ma noi in Italia, davvero, come siamo messi?”.

Se non ci si pone subito quella domanda (e non si ottengono risposte sincere e fondate, in luogo dell’annuire servile dei poco competenti yesman), un domani resteranno solo una manciata di quesiti a disposizione.

“Come è possibile?”, “chi avrebbe dovuto pensarci?”, “di chi è la colpa?” e altri interrogativi saranno la colonna sonora di una tanto apocalittica quanto inevitabile constatazione che ormai è semplicemente tardi.

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