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Decreto Sicurezza

Vi racconto cosa (non) si dice in Parlamento sul decreto sicurezza cibernetica

L'articolo di Umberto Rapetto

 

Il mondo dei talent ha inesorabilmente contagiato anche il mondo istituzionale. E così in una ventina di minuti esperti o venditori possono dire la loro, ad esempio, a proposito del disegno di legge C. 2100, di conversione del decreto-legge 21 settembre 2019, n. 105, recante “Disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”.

A scorgere l’agenda della IX Commissione “Trasporti, Poste e Telecomunicazioni” della Camera dei Deputati, ci si accorge che – fatta eccezione per il Procuratore Nazionale Antimafia cui sono stati riservati “ben” 45 minuti – l’alternarsi al microfono ha un ritmo serrato anche quando si legge “rappresentanti” di questa o quella azienda e si immagina che a prendere la parola sia più di una persona.

La cybersecurity, purtroppo, è come Cenerentola.

Lo è perché è serva di sorellastre che sono l’esito antropomorfico di mille interessi economici, industriali e politici.

Lo è perché allo scoccare di una immaginaria mezzanotte, la carrozza torna ad esser zucca e i bianchi destrieri si tramutano in originari topolini, lasciando appiedati quelli che speravano succedesse o cambiasse qualcosa.

Vorrei che lo fosse anche per la “scarpetta”, confidando in un Principe illuminato che sia pronto a sfoderare indomita ostinazione nel venir a capo del mistero. Purtroppo l’insensibilità collettiva al tema della sicurezza digitale lascia presumere che un eventuale ritrovamento di una minuscola calzatura in cristallo possa solo solleticare qualche irriducibile feticista…

I resoconti delle “audizioni informali” (dizione che merita almeno una minima riflessione sul suo significato intrinseco e sulla relativa utilità) non lasciano trasparire contributi meritevoli di menzione, ma in certi casi evocano l’atmosfera natalizia con bimbi saliti in piedi sulla sedia nel corso del banchetto famigliare per recitare la poesia imparata a memoria con tanta fatica.

Non manca nemmeno un velo di nostalgia al sentir parlare ancora di phishing o di altre romantiche narrazioni di chi – come ne “Il Vecchio e il bambino” di Guccini – parla di “cose mai viste” e non immagina “il tetro contorno di torri di fumo” che è già dietro l’angolo.

Ci si potrebbe armare di matita rossa e blu, ma non ne vale la pena. E la mortificazione toccherebbe anzitutto a chi la dovrebbe brandire. Non sono più i tempi del maestro D’Orta e davvero non c’è nulla che possa far anche lontanamente sorridere.

Da una parte chi sogna prodigiosi “interruttori salvavita”, pensando che basti portar via il pallone per non far giocare chi vince la partita, dall’altra gli agnostici impenitenti che non credono possa accadere mai nulla di tanto grave da doversene preoccupare: ovunque ci si vada a posizionare, è difficile trovare un punto di appoggio con cui si potrebbe sollevare il mondo.

Mentre qualche goliarda geometrico si domanda come si calcola il “perimetro” di sicurezza e si chiede quale ne sia il magico pi greco, continuo a sperare che un giorno un politico – non necessariamente in campagna elettorale – decida davvero di occuparsi e preoccuparsi del problema.

Il giorno che “scoppia un casino” toccherà davvero far ricorso alle persone competenti e non solo a chi pro tempore riveste un determinato ruolo raggiunto anche meritatamente ma dopo esperienze non collimanti con le nuove responsabilità. Scatterà la ricerca del soldato Nemecsek, unico militare semplice de “I ragazzi della via Paal”, ma la risposta potrebbe esser diversa dal leggendario suo atto di eroismo. Il ragazzino, che nelle pagine di Ferenc Molnar esce di casa con la febbre alta per salvare i compagni e muore di polmonite nel disinteresse degli altri ragazzi, stavolta potrebbe restare a letto con la Tachipirina 1000…

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