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Tutti zitti dopo gli allarmi di Gabanelli su cloud e cavi? Il corsivo di Rapetto

Il corsivo di Umberto Rapetto dopo il Dataroom del Corriere della Sera a cura di Milena Gabanelli dedicato a fatti e scenari su cloud e cavi sottomarini

Milena Gabanelli ha chirurgicamente definito le viscere della connettività internazionale. Cerusico del giornalismo investigativo, ha saputo muovere il suo bisturi negli ambiti dolenti dell’organismo internazionale in totale contrasto al disinteresse e all’assenza di sintomi da parte dei politici e degli ossequiosi strateghi al loro servizio.

Lo scorrere di cifre, grafici e mappe è una – tanto doverosa quanto impietosa – mitragliata alla classe dirigente del Paese (non voglio impicciarmi di eventuali errori fatti oltre confine) che immagina le telecomunicazioni come l’agile tip tap di certi spot commerciali. La colonna sonora più appropriata non è, infatti, la ritmata musichetta che rintrona lo spettatore, ma un qualunque Requiem perché l’atmosfera è ben più funebre di quanto non si creda.

Se qualcuno ha travisato la Gabanelli nel ruolo di Cassandra 2.0, vorrei alzare un dito e immedesimarmi (non sono impazzito, tranquilli!) nel Signore che dialoga con Marx nello straordinario monologo di Roberto Benigni ne “Il Papocchio”. Mi permetto di fare mia la battuta “E questo l’avevo detto prima io…”, non foss’altro per aver cominciato a blaterare a vuoto su questi problemi molto tempo prima (come anche queste pagine sono in grado di testimoniare).

Ma non gioisco al pensiero che qualcuno mi riconosca un primato cronologico nella desolata constatazione di una situazione pressoché irreversibile.

Ho perso tempo, fiato e inchiostro per strillare a margine dei trionfalistici annunci di questo o quel personaggio, sentendomi addirittura relegato al ruolo di emulo di Paolini o di qualche altro patetico disturbatore. Ma non demordo.

Spero che Milena Gabanelli sia riuscita a squarciare il velo dell’indifferenza e a destare l’attenzione su un tema vitale per il nostro futuro.

L’interruttore delle nostre comunicazioni è nelle mani di quei grandi colossi internazionali che – capaci tra l’altro di comprare qualunque spazio pubblicitario e di condizionare l’editoria fino ad azzittirla – possono in un attimo fare lo “switch off” e paralizzare ogni attività che sia (e lo sono tutte) dipendente dal regolare funzionamento di computer e reti telematiche e dalla ininterrotta disponibilità di dati e informazioni per decidere, scegliere, lavorare, vivere.

Cosa si aspetta a rimboccarsi le maniche e a redigere un piano di emergenza? Abituati a subire quelle naturali e come tali inevitabili, dobbiamo aspettare una calamità digitale per capire che è necessario fare qualcosa?

Ho avuto il piacere di essere ospite della DataRoom di Milena Gabanelli a giugno del 2019. In quell’occasione non mancò l’opportunità di discutere di tante cose che sono state sapientemente riprese in questi giorni, ma nei mesi che ci separano da quella interessante chiacchierata nessuno si è preso la briga di adottare la benché minima iniziativa.

Un discorso sulla possibilità di tagliare le comunicazioni e azzoppare l’intero Occidente mi è capitato di farlo a Radio Tre Mondo, su Radio 3 Rai, il 21 gennaio scorso in una gradevole chiacchierata con Roberto Zichittella.

Anche dopo quelle parole pesanti come macigni non è successo proprio nulla, nemmeno la soddisfazione del rimbrotto “ma che vai dicendo?”. Può valere la pena riascoltare e può esser ancora più utile provare a riflettere sul nostro destino. Istituzioni e aziende TLC sono all’ultima chiamata. Se si perde quest’ultimo treno è davvero finita.

 

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