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Semiconduttori

Ecco gli aiuti di Stato Usa per la produzione di microchip

Il Senato degli Stati Uniti ha approvato una legge da 280 miliardi per lo sviluppo dei microchip. E non solo. Tutti i dettagli

 

Mercoledì il Senato degli Stati Uniti ha approvato una legge, sostenuta da entrambi i partiti, per il finanziamento pubblico alla produzione domestica di microchip.

IL PERCORSO LEGISLATIVO

La legge, nota come CHIPS-plus o Chips and Science Act, è passata con 64 voti favorevoli e 33 contrari. Ora andrà alla Camera: la speranza dei deputati è di approvarla rapidamente in modo da mandarla alla Casa Bianca – è necessaria la firma del presidente, perché entri in vigore – prima che ad agosto il Congresso interrompa i lavori per la pausa estiva.

LE PAROLE DI PELOSI

La speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha definito l’approvazione della legge “una grande vittoria per le famiglie americane e per l’economia americana”, perché garantisce l’occupazione e permette al paese di rafforzare la sua competitività industriale – i microchip sono componenti tecnologici cruciali per tanti settori innovativi -, specialmente alla luce della sfida con la Cina, la principale rivale economica e politica degli Stati Uniti.

52 MILIARDI PER I CHIP…

La legge prevede finanziamenti pubblici per più di 52 miliardi di dollari per quelle società americane che producono chip, oltre a crediti d’imposta che dovrebbero servire a stimolare gli investimenti nella manifattura di semiconduttori.

… E NON SOLO

Ma il CHIPS-plus non si limita ai microchip: stanzia un pacchetto complessivo da 280 miliardi di dollari, di cui circa 200 andranno alla ricerca scientifica e 1,5 allo sviluppo dei sistemi Open RAN per le reti 5G. L’ufficio scientifico del dipartimento dell’Energia otterrà invece 50 miliardi.

GEOPOLITICA DEI MICROCHIP

Gli Stati Uniti sono al primo posto quanto alla progettazione dei semiconduttori (possiedono una quota del 65 per cento in questo segmento di mercato). Devono però affidarsi all’Asia, e in particolare a Taiwan, per la loro manifattura e per l’assemblaggio: è un rischio, perché il paese, oltre che distante, viene rivendicato dalla Cina come parte integrante del suo territorio.

Leggi anche: Tutte le mosse trumpiane di Biden sui chip

L’America, la Cina e molte delle altre maggiori economie mondiali stanno allora lavorando per “riportare a casa” (o nelle immediate vicinanze) la manifattura di microchip, in modo da assicurarsi la certezza degli approvvigionamenti ed evitare di dipendere da nazioni rette da governi ostili che potrebbero interrompere le forniture come atto di ricatto politico.

MICROCHIP E SICUREZZA NAZIONALE

I semiconduttori, peraltro, non sono necessari soltanto per la realizzazione di automobili, computer o smartphone, ma anche per i sistemi d’arma avanzati come i missili Javelin: la dipendenza dall’estero per questi componenti di base, insomma, potrebbe costituire una minaccia sia per l’economia che per la sicurezza nazionale.

Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale, ha dichiarato appunto che la dipendenza statunitense dai chip prodotti all’estero è “pericolosa, senza mezzi termini, e un’interruzione alla nostra catena fornitura dei chip sarebbe catastrofica”. Il presidente Biden ha detto invece che la carenza di microchip – che è legata agli intoppi logistici causati dalla pandemia e che va avanti da anni – è una delle cause dell’aumento dell’inflazione nel paese, perché le case automobilistiche non possono produrre veicoli in assenza dei componenti di base.

“UNA LEGGE STORICA”

In un comunicato rilasciato dopo il voto di mercoledì al Senato, Biden ha descritto la legge CHIPS-plus come “una legge storica che ridurrà i costi e creerà posti di lavoro”, e che permetterà la creazione di “catene di approvvigionamento americane più resistenti, in modo da non dipendere più dall’estero per le tecnologie critiche di cui abbiamo bisogno per i consumatori americani e per la sicurezza nazionale”, ha detto Biden.

In realtà, CHIPS-plus è la versione ridotta di una legge più estesa che è stata discussa per molto tempo alla Camera e al Senato, ma era osteggiata da una parte del Partito repubblicano. Alcuni senatori del partito, come Marco Rubio, sostenevano che quella legge non stabilisse degli argini sufficienti a impedire che i finanziamenti finissero nelle mani di società cinesi.

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