skip to Main Content

Stati Uniti Cina

La guerra tecnologica Stati Uniti-Cina ribalterà la globalizzazione

Il 2022 ha confermato l’importanza della sfida tecnologica tra Stati Uniti e Cina, che ha ripercussioni sul mondo intero. L'analisi di Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes e autore di "Il dominio del XXI secolo", tratto dall'ultimo numero del quadrimestrale di Start Magazine

 

Il 2022 ha confermato l’importanza della competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina, secondo i paradigmi che ho definito nelle mie ricerche come “capitalismo politico” e “sanzionismo”. L’aspetto “politico” del capitalismo va individuato nella crescente politicizzazione del commercio, della finanza, della tecnologia, non solo attraverso strumenti tradizionali di intervento degli Stati (la partecipazione nelle imprese e la varietà delle politiche industriali) ma con modalità offensive, sulla base della sicurezza nazionale. Hanno particolare rilievo due fenomeni: in primo luogo, l’ampiezza degli strumenti statali cinesi di supporto alle imprese nazionali e di influenza nel loro operato, che spaziano dal credito agevolato alla sparizione forzata degli imprenditori per ragioni politiche; in secondo luogo, il “sanzionismo” statunitense, con cui indico l’armamentario governativo di sicurezza economica ed economia di guerra organizzato attraverso sanzioni finanziarie, scrutinio degli investimenti esteri e controllo delle esportazioni.

In particolare, il controllo delle esportazioni degli Stati Uniti, sulla base dell’esercizio sempre più ampio del potere di un’agenzia un tempo semisconosciuta del Dipartimento del Commercio, il Bureau of Industry and Security, funziona come un perfetto rovescio della globalizzazione, come ho cercato di mostrare nel mio libro “Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia”, edito da Feltrinelli. Da un lato, le supply chain globali rappresentano il trionfo degli incentivi per le imprese globali a cooperare, nel costruire sistemi complessi e integrati di fornitori e clienti da cui tutti ricavano un guadagno. Tutti sono attirati dal “potere della rete” descritto già quindici anni fa da David Singh Grewal. Dall’altro lato, la partecipazione a questa rete determina cambiamenti nei rapporti di forza, a seconda di come ci si colloca nel processo, delle proprie capacità tecnologiche, della volontà di costruire, per ragioni di sicurezza nazionale, alcune supply chain autonome. E quando esiste un incentivo politico a spezzare la rete, e gli Stati Uniti dispongono di imprese determinanti nei vari segmenti della rete (come avviene per i chip), la politica impone il suo imperio sull’economia.

SCOSSONI SULLE SUPPLY CHAIN

Questi processi funzionano come scossoni sulle supply chain. Non ne rappresentano il superamento, altrimenti li rappresentiamo in modo stereotipato. Ma l’intervento crescente su alcune filiere, nella competizione tra Stati Uniti e Cina, è una realtà. Soprattutto se parliamo delle cosiddette “tecnologie critiche” che la stessa legge italiana definisce come “essenziali per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza, del benessere economico e sociale della popolazione, nonché per il progresso tecnologico”. L’attenzione per le tecnologie critiche, a partire da semiconduttori, biotecnologie, batterie, intelligenza artificiale, è un elemento di continuità della politica statunitense, dalla pubblicazione della Strategia nazionale per le tecnologie critiche ed emergenti nel 2020, con l’amministrazione Trump, alla scelta nel 2023 del Dipartimento di Stato di istituire l’ufficio dell’inviato speciale sulla tecnologia critica ed emergente.

Soprattutto, in questo approfondimento nella continuità rientra la posizione del consigliere per la sicurezza nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan. In un discorso del 16 settembre 2022, Sullivan ha affermato che il mantenimento del vantaggio scientifico e tecnologico degli Stati Uniti è sia un tema di politica interna che un tema di sicurezza nazionale. Nel nuovo contesto della competizione con la Cina, secondo Sullivan, non è più sufficiente per gli Stati Uniti mantenere vantaggi relativi e tenere Pechino, in alcune tecnologie, ad alcune generazioni di distanza. La natura critica e abilitante di alcune tecnologie richiede agli Stati Uniti di mantenere ed evidenziare il vantaggio, per limitare le possibilità cinesi. Per questo l’uso dei controlli sulle esportazioni nella tecnologia va considerato, secondo Sullivan, un nuovo asset strategico dello strumentario statunitense e degli alleati per imporre costi agli avversari, fino a ridurre le loro capacità negli scenari di guerra.

Le aziende si misurano sui mercati, la loro capacità di realizzare prodotti – come i robot industriali, o i chip per l’intelligenza artificiale – deve portare a ricavi e a profitti, in un pubblico globale di clienti. Eppure, le “teste” delle tecnologie, le decisioni che influenzano la direzione della supply chain e la capacità di salvaguardare il dominio di alcuni colli di bottiglia, o di intaccarlo, portano a un’intrusione politica, con profonde conseguenze sui processi economici. Per Cina e Stati Uniti è anzitutto fondamentale mappare le proprie capacità, sviluppare – con la mobilitazione dei centri di conoscenza pubblici e privati – sistemi di lettura delle supply chain e della loro evoluzione, per individuare le proprie potenzialità e vulnerabilità nei vari segmenti. Una simile visibilità è un punto di partenza essenziale, secondo l’adagio einaudiano “conoscere per deliberare”. Ciò non garantisce di per sé il successo, perché negli obiettivi che Washington e Pechino si danno sulle filiere strategiche è sempre presente l’imprevisto.

In questo complesso scenario, la competizione industriale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina ha implicazioni per tutti gli altri attori, che devono valutare i costi e i rischi rispetto alla situazione attuale e futura, tenendo conto delle alleanze strategiche in cui si trovano. L’impatto globale di questo processo si può facilmente osservare sulla base dell’eco e delle implicazioni delle principali politiche industriali di Washington approvate nel 2022, il Chips and Science Act (che investe sulla complessa e strategica filiera dei semiconduttori) e l’Inflation Reduction Act (che, a dispetto del nome, è dedicato soprattutto al sostegno alle filiere industriali della transizione ecologica, in funzione anticinese).

IL CASO DELLA TEDESCA KUKA

Anche la robotica, inclusa tra le tecnologie critiche, si colloca senz’altro in questo scenario, tanto per le sue implicazioni duali quanto per l’incidenza nei processi industriali. Vale la pena di ricordare, in conclusione, che già il 2016 è stato, da questo punto di vista, un momento importante per il leader economico europeo, la Germania, se guardiamo alla geografia delle acquisizioni. È infatti l’anno in cui la cinese Midea, attraverso la sussidiaria Mecca, acquista l’impresa tedesca di robotica Kuka per 4,5 miliardi. L’operazione è autorizzata anche dagli Stati Uniti (l’azienda tedesca possiede attività statunitensi, con implicazioni duali) ma genera un profondo dibattito in Germania, prima e dopo il perfezionamento, sui costi di abbandonare all’estero le competenze industriali nell’alta tecnologia, rispetto alla necessità di presidiare il mercato cinese, per consolidare l’interscambio più importante dell’economia tedesca. Il 2016 è anche l’anno in cui Tesla ha comprato un’altra azienda tedesca, Grohmann Automation, definita dallo stesso Elon Musk “la prima acquisizione significativa della nostra storia”. Nella strategia di Tesla per aumentare la propria capacità produttiva e i processi industriali, mettere le mani su questo campione del Mittelstand (120 milioni di euro di fatturato nel 2015) di Prüm è stato un passaggio di grande rilievo. È interessante chiedersi se acquisizioni simili, in un momento in cui l’incidenza del “sanzionismo” e dei sistemi di protezione nazionale sono in crescita, sarebbero ancora possibili, e con quali condizioni. Di certo, le condizioni politiche del conflitto tra Stati Uniti e Cina continueranno a influire sul mercato internazionale delle tecnologie critiche.

(tratto dall’ultimo numero della rivista quadrimestrale di Start Magazine)

Back To Top