Un giudice distrettuale negli Stati Uniti ha ordinato a Google di modificare il proprio servizio di distribuzione delle applicazioni per i dispositivi Android – noto come Google Play o Play Store – in modo da fornire più opzioni agli utenti.
In sostanza, la società dovrà garantire una maggiore concorrenza. Il giudice James Donato della California ha stabilito ad esempio che per tre anni Google non potrà vietare l’utilizzo di metodi alternativi di pagamento per le transazioni interne alle app e che dovrà permettere di scaricare le app per Android anche da piattaforme di terze parti. La società, inoltre, non potrà pagare i produttori di smartphone e tablet affinché pre-installino il Play Store sui loro dispositivi.
LA REPLICA DI GOOGLE
Google ha detto che farà ricorso in appello contro la sentenza, accusandola di provocare “una serie di conseguenze indesiderate che danneggeranno i consumatori americani, gli sviluppatori e i produttori di dispositivi”. La società del gruppo Alphabet ha parlato ad esempio di costi più alti per gli sviluppatori di app e di rischi per la sicurezza e la privacy degli utenti.
EPIC GAMES FESTEGGIA
La decisione del giudice Donato è stata invece ben accolta Epic Games, l’azienda di videogiochi nota per Fortnite che ha dato inizio alla vicenda legale nel 2020, accusando Google di monopolio nell’accesso alle app e nei metodi di pagamento interni sui dispositivi Android.
Epic ha fatto sapere che nel 2025 il proprio negozio di app, chiamato Epic Games Store, sarà disponibile per il download su Google Play. L’amministratore delegato Tim Sweeney ha aggiunto che gli sviluppatori di app e di piattaforme di distribuzione avranno tre anni di tempo “per costruire un ecosistema Android vivace e competitivo con una massa critica tale che Google non potrà fermarlo”.
GOOGLE E IL MONOPOLIO ILLEGALE NELLA RICERCA ONLINE
Ad agosto un’altra corte distrettuale degli Stati Uniti aveva stabilito che Google è monopolista nel settore della ricerca online e che ha agito illegalmente per mantenere questa posizione, versando ogni anno cifre miliardarie alle società che producono smartphone e a quelle che sviluppano browser per far sì che Google Search venga impostato come motore di ricerca predefinito.
VITTORIA DI EPIC SU TUTTA LA LINEA?
Il verdetto di lunedì ha soddisfatto quasi tutte le richieste di Epic Games, visto che Google dovrà sia distribuire app store diversi dal proprio, sia fornire a questi l’accesso all’intero catalogo di applicazioni presenti sul Play Store. Non solo, in realtà, perché per tre anni non potrà nemmeno rendere obbligatorio l’uso di Google Play Billing per i pagamenti alle app distribuite sul Play Store, non potrà pagare gli sviluppatori affinché non rendano disponibili le loro app su altri store e non potrà pagare i produttori di smartphone per ottenere la pre-installazione del Play Store sui loro dispositivi.
Epic – ha scritto The Verge – è riuscita a dimostrare che Google ha stretto così tanti accordi con gli sviluppatori di app e i produttori di dispositivi elettronici da rendere impossibile la concorrenza. La società manterrà comunque un certo controllo sulla propria piattaforma e potrà adottare “misure ragionevoli” e “strettamente necessarie” per bloccare le app non sicure; potrà anche addebitare agli sviluppatori il pagamento di una tariffa per questa attività di supervisione.
Epic non ha ottenuto, però, che, l’impostazione di Google Play venga modificata per sei anni, ma solo per tre. Come ha scritto il giudice Donato nella sentenza, “le disposizioni sono volte a livellare il campo di gioco per l’ingresso e la crescita dei concorrenti, senza gravare eccessivamente su Google”.
COSA C’ENTRA AMAZON
A convincere il giudice che il funzionamento del Play Store andasse rivisto per garantire la concorrenza ha contribuito Amazon. “Anche un colosso aziendale come Amazon non potrebbe competere con il Google Play Store a causa degli effetti di rete”, ha scritto Donato, facendo riferimento a una documento interno di Google nel quale si affermava che Amazon non sarebbe riuscita a rivaleggiare con il Play Store per via della difficoltà di attirare nel contempo sia gli utenti che le app.
La sentenza stabilisce infatti che gli store di terze parti debbano avere accesso all’intero catalogo di app di Google Play in modo da avere “una possibilità di decollare”.