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Google Thailandia

Privacy e Chrome, class action per Google?

Capovolgimento giudiziale per Google: la big tech dovrà affrontare una class action sulla privacy dei propri utenti che sembrava essere riuscita a scampare

Quanto peso ha non comprendere pienamente il valore in un clic che spunti le condizioni per la privacy? Secondo i giuristi più duri, non rileva: sarebbe come firmare un contratto senza averlo capito: la responsabilità cadrebbe unicamente su chi firma. Ma nel difficile rapporto tra utenza e consumatori in cui – è indubbio – i rapporti non sono paritari, si fa sempre più largo l’idea che chi firma, o chi clicca, il più delle volte si senta “obbligato” a farlo, perché deve comunque utilizzare determinati programmi per lavoro e non ha né modo, né tempo né competenze per capire davvero le ricadute di ciò che sta cliccando.

I DATI RACCOLTI CON CHROME

È la tesi accolta dal giudice della Corte d’Appello federale Milan D. Smith Jr. che riapre una class action del 2020 secondo la quale Google raccoglieva dati dagli utenti del browser Internet Chrome indipendentemente dall’attivazione della sincronizzazione.

I consumatori che hanno deciso di procedere contro Mountain View affermano che Chrome inviava “intenzionalmente e illegalmente” a Google la cronologia di navigazione, gli indirizzi IP e altri identificatori unici senza esplicito permesso.

GOOGLE VERSO LA CLASS ACTION

Google da parte sua ha sempre sostenuto che gli utenti avessero acconsentito: era tutto nero su bianco, nell’informativa sulla privacy che ciascun utente deve cliccare per avviare il browser. Del medesimo avviso la giudice di un tribunale californiano Yvonne Gonzalez Rogers che aveva fatto ricadere la responsabilità sull’utenza.

Per il giudice di grado superiore, però, il magistrato di Oakland avrebbe dovuto esaminare le comunicazioni che Google dirama ai propri clienti per determinare se un utente possa effettivamente comprendere cosa comporti acconsentire alla raccolta dati.

LA REAZIONE DI MOUNTAIN VIEW

Insomma, il diavolo sarebbe nei dettagli e c’è il rischio che i contratti sottoscritti via Web non siano sufficientemente leggibili e capibili dall’utente medio che, come detto, ha fretta di usare i dispositivi e non può fermarsi a leggere pagine e pagine di clausole, condizioni e rimandi ad altre norme scritte per di più in legalese. Un portavoce di Google ha dichiarato: “Non siamo d’accordo con questa sentenza e siamo fiduciosi che i fatti del caso siano dalla nostra parte. Chrome Sync aiuta le persone a utilizzare Chrome senza problemi su diversi dispositivi e ha controlli sulla privacy chiari”.

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