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Meta Odio

Perché Meta finisce sotto accusa per incitazione all’odio

Meta è accusata di aver contribuito ad alimentare la violenza tramite la diffusione di post che incitavano all'odio durante il conflitto nel Tigray

 

Meta finisce sotto accusa per aver alimentato la violenza nella guerra civile in Etiopia.

Una causa legale chiede 2 miliardi di dollari di risarcimento per le vittime di contenuti che incitano all’odio che Facebook (di proprietà Meta) avrebbe contribuito a diffondere durante il conflitto etiope scoppiato nel 2020 tra il governo federale e le forze ribelli della regione settentrionale del Tigray.

La causa, intentata da due ricercatori etiopi e dal gruppo per i diritti del Katiba Institute del Kenya e appoggiata da Amnesty International, sostiene che i sistemi di raccomandazione di Facebook hanno amplificato i post violenti in Etiopia, inclusi molti che hanno preceduto l’omicidio del padre di uno dei ricercatori.

Non è la prima volta che il social network è accusato di diffondere discorsi odiosi e violenti. L’anno scorso, l‘informatore Frances Haugen, ex dipendente del gruppo, ha dichiarato al Senato degli Stati Uniti che l’algoritmo della piattaforma “stava letteralmente alimentando la violenza etnica” in paesi come l’Etiopia.

La società di Mark Zuckerberg si è difesa, attraverso la portavoce Erin McPike, affermando che l’incitamento all’odio e l’incitamento alla violenza sono contrari alle regole di Facebook e Instagram.

Tutti i dettagli.

L’ACCUSA

La causa, intentata presso l’alta corte del Kenya, dove hanno sede le operazioni dell’Africa sub-sahariana di Meta, sostiene che i sistemi di raccomandazioni di Facebook hanno amplificato post di odio e violenza nel contesto della guerra nel nord dell’Etiopia.

Inoltre, secondo l’accusa, Meta non avrebbe esercitato una ragionevole cura nell’addestrare i suoi algoritmi per identificare i post pericolosi e non avrebbe assunto personale sufficiente per il suo centro di moderazione dei contenuti regionale a Nairobi.

LA POSIZIONE DI META SUI CONTENUTI CHE INCITANO ALL’ODIO

“Investiamo molto in team e tecnologia per aiutarci a trovare e rimuovere questi contenuti”, ha affermato McPike. “Ci avvaliamo di personale con conoscenze e competenze locali e continuiamo a sviluppare le nostre capacità per rilevare contenuti in violazione nelle lingue più parlate in” Etiopia.

NON È LA PRIMA VOLTA

Tuttavia, come ricorda Reuters, il caso fa eco alle accuse che Meta ha dovuto affrontare sui contenuti sulle sue piattaforme relativi alla violenza altrove, tra cui Myanmar, Sri Lanka, Indonesia e Cambogia. Facebook ha ammesso nel 2018 di non aver fatto abbastanza per prevenire l’incitamento alla violenza e l’incitamento all’odio contro i Rohingya, la minoranza musulmana in Myanmar. Il social network deve affrontare richieste di risarcimento per oltre 150 miliardi di sterline dopo l’azione legale avviata lo scorso dicembre nel Regno Unito e negli Stati Uniti per le violenze in Myanmar.

L’anno scorso l’Oversight Board indipendente di Meta ha raccomandato una revisione di come Facebook e Instagram sono utilizzati per diffondere contenuti che aumentano il rischio di violenza in Etiopia.

COSA RISCHIA LA SOCIETÀ

Infine, tornando alla causa etiope, i querelanti chiedono al tribunale di ordinare a Meta di adottare misure di emergenza per degradare i contenuti violenti, aumentare il personale di moderazione a Nairobi e creare fondi di restituzione di circa 2 miliardi di dollari per le vittime globali della violenza incitata su Facebook.

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