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Perché il decoupling dalla Cina non è possibile secondo l’americana Raytheon

"Possiamo ridurre il rischio dalle operazioni ma non separarci" dalla Cina, afferma il numero uno di Raytheon, colosso americano dell'aerospazio e difesa. Stessa posizione espressa anche dall'ex numero uno dell'italiana Leonardo... Fatti e approfondimenti

 

Il decoupling dalla Cina è impossibile per Raytheon, colosso della difesa e aerospazio statunitense.

In un’intervista al Financial Times Greg Hayes, amministratore delegato di Raytheon, ha affermato che la società aveva “diverse migliaia di fornitori in Cina e il decoupling è impossibile”. I produttori occidentali saranno in grado di ridurre i rischi delle loro operazioni in Cina, ma troveranno impossibile tagliare completamente i legami con il paese asiatico, secondo il capo di una delle più grandi società aerospaziali e della difesa degli Stati Uniti.

“Possiamo ridurre il rischio ma non separarci”, ha precisato Hayes, aggiungendo che credeva che fosse così “per tutti”.

E in effetti non è il primo capo azienda del comparto difesa a esprimere questa posizione. “Il decoupling completo dalla Cina non è possibile. Dobbiamo gestire il decoupling selettivo. È importante in ogni situazione diversificare le fonti di fornitori per garantire la sopravvivenza, qualunque cosa accada”, aveva spiegato Alessandro Profumo, ex ad del gruppo della difesa e aerospazio italiano Leonardo, nel corso di una intervista con il think tank statunitense Atlantic Council lo scorso febbraio.

“Se dovessimo ritirarci dalla Cina, ci vorrebbero molti anni per ristabilire tale capacità a livello nazionale o in altri paesi amici” ha aggiunto ancora il numero uno di Raytheon Hayes.

Tutti i dettagli.

I RAPPORTI CON PECHINO PER I PRODUTTORI OCCIDENTALI

Per il capo del gruppo aerospaziale e della difesa statunitense sarà impossibile tagliare completamente i legami con Pechino per i produttori occidentali.

“Pensate ai 500 miliardi di dollari di scambi che ogni anno vanno dalla Cina agli Stati Uniti. Più del 95% dei materiali o dei metalli delle terre rare proviene o è lavorato in Cina. Non c’è alternativa”, ha osservato al Ft Hayes. “Se dovessimo ritirarci dalla Cina, ci vorrebbero molti anni per ristabilire tale capacità a livello nazionale o in altri paesi amici”.

IL NODO SANZIONI

I commenti di Hayes sottolineano le difficoltà che devono affrontare i produttori occidentali a causa del crescente attrito tra Cina e Stati Uniti e i suoi alleati, puntualizza il quotidiano finanziario londinese.

Proprio lo scorso febbraio la Cina ha colpito ancora i colossi della difesa statunitensi. Pechino ha deciso di adottare sanzioni contro i produttori di armi americani Lockheed Martin e Raytheon, di fatto vietando loro ogni attività in Cina.

Le autorità cinesi “hanno deciso di includere Lockheed Martin Corporation e Raytheon Missiles & Defence, (controllata di Raytheon Technologies) che hanno partecipato alla vendita di armi a Taiwan, nell’elenco delle entità inaffidabili”, spiegava una nota diffusa da Ministero del Commercio cinese. La mossa punta a isolare l’isola rivendicata da Pechino come parte “inalienabile” del suo territorio. Inoltre, già nel febbraio 2022 Pechino aveva imposto sanzioni contro i produttori statunitensi Lockheed Martin e Raytheon sempre perché coinvolti nelle vendite di armi a Taiwan.

Le sanzioni hanno avuto scarso impatto commerciale in quanto i gruppi non sono autorizzati a vendere attrezzature militari alla Cina.

LE ATTIVITÀ DI RAYTHEON IN CINA

Raytheon, tuttavia, ha una notevole attività aerospaziale commerciale nel paese attraverso la sua filiale di motori, Pratt & Whitney, e Collins Aerospace, specialista in sistemi di aviazione e apparecchiature di cabina. Ha circa 2.000 dipendenti diretti in Cina, ricorda ancora il Financial Times.

Entrambe le filiali, insieme ad altri gruppi aerospaziali occidentali, sono fornitori del primo velivolo per trasporto passeggeri della Cina, il C919, che ha fatto il suo debutto commerciale alla fine di maggio. Tuttavia, l’azienda è alla ricerca di fonti alternative per alcuni dei suoi componenti.

“Stiamo cercando di ridurre i rischi, prendere alcuni dei componenti più critici e avere una seconda fonte, ma non siamo nella posizione di ritirarci dalla Cina come abbiamo fatto con la Russia”, ha aggiunto Hayes.

LA PRODUZIONE DEI MOTORI PER AIRBUS CHE PUNTA AL MERCATO CINESE

Come ricorda il Ft, Pratt & Whitney si è destreggiata per fornire un numero sufficiente di nuovi motori ad Airbus e allo stesso tempo fornire ricambi ai clienti delle compagnie aeree esistenti per colmare le lacune lasciate da un’usura più rapida del previsto. Il motore GTF di ultima generazione di Pratt & Whitney alimenta gli Airbus A220 e alcuni jet della famiglia A320-neo.

Allo stesso tempo, la Cina è anche un importante mercato dell’aviazione per Boeing e Airbus.

Proprio in Cina Airbus aumenterà le capacità produttive. In occasione della visita ufficiale del presidente Macron e della presidente della Commissione europea von der Leyen a Pechino ad aprile, Airbus aveva annunciato che avvierà seconda linea assemblaggio per gli A320 a Tianjin. E con una crescita del traffico aereo prevista in media del 5,3% annuo nei prossimi 20 anni, la Cina continuerà a essere uno dei principali mercati mondiali. Con un fabbisogno stimato da Airbus di quasi 8.500 nuovi aeromobili nel periodo, il Paese dovrebbe rappresentare oltre il 20% della domanda globale.

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